Quando la presunzione di innocenza fa a pugni con l’articolo 21 della Costituzione

Così è stato silenziato il diritto di cronaca

Chiara Roverotto e Marta Cartabia

VICENZA – Forse gli esempi pratici ci aiutano a capire meglio quanto sta accadendo dopo che, a metà dicembre dello scorso anno, è entrato in vigore il decreto legislativo numero 188, promosso dal ministro alla Giustizia, Marta Cartabia per salvaguardare la presunzione d’innocenza dei cosiddetti “processi show”, condannando gli indagati prima che i giudici emettano le sentenze.
Provvedimento che è stato salutato dai difensori del garantismo come un notevole passo avanti sul piano giuridico e culturale. Certo, c’è da dire che il decreto recepisce con almeno cinque anni di ritardo, una direttiva europea mirata a tenere ben saldi i principi della presunzione d’innocenza: «Assicurare il diritto della persona sottoposta a indagini e dell’imputato a non essere indicati come colpevoli fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili».
Chi potrebbe obiettare ad un principio così importante, verrebbe da aggiungere, sacrosanto? Di primo acchito nessuno, ma giustamente non quello che pensano i colleghi che si occupano di nera e giudiziaria.
E allora, dopo le premesse passiamo ai fatti, non posso che scrivere quanto è accaduto al Giornale di Vicenza per il quale lavoro nel primo giorno dell’anno: un uomo di 50 anni viene ridotto in fin di vita nella sua abitazione da un amico, finito in carcere con l’accusa di tentato omicidio. Le sue condizioni sono serie: ferite, traumi, vicini che vengono svegliati, prima dalle sue urla e poi dalle sirene delle ambulanze e delle forze dell’ordine.
Eppure, alcuna fonte ufficiale ha potuto informare i mass media su quanto accaduto. Vi pare possibile? Certo, perchè la diffusione di informazioni è limitata, o meglio, si legge nel decreto: «solo quando è strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini o ricorrono altre rilevanti ragioni di interesse pubblico», riservando potere e controllo pressochè assoluto al procuratore, unica figura che detiene l’autorità di comunicare le notizie relative ai procedimenti penali e diffondere informazioni su qualsiasi evento che possa richiedere l’apertura di un’indagine.
La domanda che ne segue può essere solo una: che tipo di notizie potranno essere diffuse? Sulla base di quali criteri? Con quale grado di trasparenza? Per rispondere a quali interessi: quelli degli inquirenti, quegli indagati o quelli dei cittadini? Di fatto nel tentativo di difendere un diritto, costituzionalmente, garantito come la presunzione d’innocenza se ne penalizza un altro, anzi due: il diritto di informare e il diritto di essere informati, tutelati entrambi dall’articolo 21 della Costituzione. Per proteggere le prerogative di innocenti fino a prova contraria, è davvero indispensabile tacere su gravi fatti di cronaca nera? O si può cercare un giusto compromesso? Così da non produrre un’informazione meno precisa, accurata, con un danno per tutti: vittime, indagati e per i lettori che hanno il diritto di essere informati?
Tornando al giornale per il quale lavoro, il collega che quel giorno ha fatto il giro di nera ha raccolto tutto: nomi cognomi, testimoni che hanno spiegato quanto accaduto ed è uscito un pezzo ricco di particolari, andando a suonare i campanelli come un normale cronista avrebbe fatto. Dalla procura dopo tre giorni uno scarno comunicato. «Alle ore 02.50 del 01 gennaio u.s., personale della Questura di Vicenza, su richiesta di soccorso, giunta sulla linea di emergenza 113, interveniva in questa Stradella Sansigoli n. 21, presso l’abitazione di D.P., vicentino di anni 49, già condannato per detenzione di sostanze stupefacenti. All’interno di predetta abitazione veniva rinvenuto in stato di coma il vicentino P.A. di anni 52 che veniva immediatamente soccorso da personale del S.U.E.M. 118 che, dopo averlo stabilizzato, lo trasferiva all’Ospedale di Vicenza dove veniva ricoverato presso il reparto di rianimazione. Le attività di indagine permettevano di far emergere che le ferite erano state causate dal D.P. che colpiva ripetutamente il ferito a seguito di una discussione nata, presumibilmente, per futili motivi. Per le gravi ferite riportate dalla parte offesa, il D.P. veniva tratto in arresto e tradotto presso la locale Casa Circondariale con l’ipotesi di reato di lesioni gravi, in attesa della convalida del Giudice per le Indagini Preliminari».
Giudicate voi. Ed esempi del genere si stanno ripetendo tutti i giorni. Si può lavorare così o servirebbe una maggiore attenzione anche da parte di chi dovrebbe tutelare il nostro lavoro facendo rispettare quanto dice la nostra Costituzione? (giornalistitalia.it)

Chiara Roverotto

 

 

2 commenti

  1. Antonino Crisafi

    Da uomo di legge quale sono stato (Ufficiale dei Carabinieri) condivido in tutto quanto la bravissima giornalista Chiara Roverotto ha espresso. Peraltro la norma che consente solo al Procuratore della Repubblica di fornire informazioni ai giornalisti aggrava moltissimo la Procura della Repubblica, già impegnata oltre misura.

  2. Dal comunicato della procura: “…colpiva ripetutamente il ferito…”. Non dico altro.

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