ROMA – Studioso, docente, giornalista, ma soprattutto un intellettuale libero da condizionamenti e autonomo nei giudizi. Lo ricordano così gli amici e i colleghi che oggi salutano Luciano Pellicani, morto a Roma a 81 anni al Covid Hospital di Casal Palocco per le conseguenze del Coronavirus, che aveva contratto e contro il quale ha combattuto per quasi un mese.
C’era il pensiero del sociologo e politologo Luciano Pellicani dietro un saggio che ha fatto la storia della politica italiana della prima Repubblica: intitolato “Il vangelo socialista”, apparve il 27 agosto 1978 sul settimanale “L’Espresso” a firma di Bettino Craxi. E Pellicani fu proprio il ghostwriter di quel “manifesto” della revisione ideologica di cui il leader socialista italiano divenne l’alfiere dopo la stagione drammatica dell’assassinio di Aldo Moro e in pieno governo di solidarietà nazionale guidato da Giulio Andreotti e con il Pci di Enrico Berlinguer nella maggioranza parlamentare.
La riflessione ispirata e argomentata da Pellicani e condivisa da Craxi mandava definitivamente in soffitta ogni residuo velleitario marxista-leninista del Psi, per rivalutare la grande tradizione francese del primo socialismo di Pierre-Joseph Proudhon. E non fu un caso se “Il vangelo socialista” passò nella vulgata come il “saggio su Proudhon”.
“Un baedeker ideologico e un argomento di discussione”, si leggeva nel sommario del settimanale, “il segnale d’avvio di un’offensiva destinata a tenere alta la temperatura tra il Pci e il Psi per molte settimane”. In quella stagione Pellicani fu il teorico della rottura ideologica del Psi con il comunismo di matrice leninista ma anche gramsciana. Eugenio Scalfari su “la Repubblica” commentò a caldo: “L’articolo sull’Espresso segna una data storica nella vita del Partito socialista italiano”. E il dibattito politico e culturale si fece incandescente per mesi.
Nel 1976, dopo aver letto un articolo di Bettino Craxi, in cui il neo segretario del Psi citava un saggio su Eduard Bernstein che Pellicani aveva scritto anni prima, il sociologo contattò il leader socialista, sancendo l’inizio di una collaborazione. Nella primavera del 1978 a Pellicani Craxi aveva commissionato un saggio su leninismo e socialismo per un volume dell’Internazionale socialista in onore di Willy Brandt e nell’estate successiva Craxi lo rimaneggiò personalmente e lo spedì all’Espresso: il direttore di allora Livio Zanetti scelse personalmente il titolo “Il vangelo socialista”.
Intellettuale lontano dagli apparati di partito, Pellicani contribuì quasi esclusivamente alla vita del Psi inviando saggi e discorsi politici e, in seguito (dal 1985) dirigendo il prestigioso periodico di area socialista “Mondoperaio”. Pellicani era entrato nella redazione di “Mondoperaio” nel 1977, quando vi albergavano menti irrequiete e raffinate come Federico Coen, Luciano Cafagna, Paolo Flores d’Arcais, Ernesto Galli della Loggia e Giampiero Mughini. Alla dissoluzione del Psi dopo Mani Pulite, Pellicani decise di chiudere “Mondoperaio”.
Nato a Ruvo di Puglia (Bari) il 10 aprile 1939), Luigi Luciano Pellicani si laurea in scienze politiche all’Università di Roma nel 1964 con una tesi su Antonio Gramsci. Proprio lavorando alla tesi, Pellicani, di famiglia tradizionalmente comunista, si convinse che “il comunismo non era una buona idea realizzata male. Era proprio un’idea sbagliata”; e abbracciò idee socialiste-riformiste. Dopo la laurea si recò in Spagna, dove studiò l’opera e il pensiero del sociologo José Ortega y Gasset, per proseguire gli studi sociologici in Francia. Tornato in Italia, cominciò ad insegnare all’Università di Urbino.
Giornalista pubblicista iscritto all’Ordine del Lazio dal 24 marzo 1971, nello stesso anno consegue la libera docenza in sociologia politica e nel 1981 vince la cattedra della stessa materia. Dopo aver insegnato all’Università di Urbino e all’Università di Napoli, nel 1984 è stato chiamato dalla Facoltà di Scienze Politiche della Luiss Guido Carli a ricoprire la cattedra di sociologia politica. È stato anche direttore della Scuola Superiore di Giornalismo della Luiss Guido Carli.
Per decenni Pellicani ha svolto una intesa attività di pubblicista sulle colonne dei quotidiani “Corriere della Sera”, “Il Giorno”e “Il Foglio” e dei settimanali “L’ Espresso” e “L’Europeo”.
Numerosi i suoi saggi tradotti nelle principali lingue europee. Tra le sue opere “La genesi del capitalismo e le origini della modernità” (Marco editore), “Rivoluzione e totalitarismo” (Marco Editore), “Dalla società chiusa alla società aperta” (Rubbettino), “Anatomia dell’anticapitalismo” (Rubbettino), “Cattivi maestri della Sinistra. Gramsci, Togliatti, Lukàcs, Sartre e Marcuse” (Rubbettino), “Introduzione a Marx” (Cappelli Editore), “Che cos’è il leninismo” (Sugar Editore) “Gulag o utopia?” (Sugar Editore), “Dinamica delle rivoluzioni” (Sugar Editore), “Marxismo e leninismo” (Sed Editrice).
Tra i lavori più recenti nel 2013 ha pubblicato con Elio Cadelo “Contro la modernità. Le radici della cultura antiscientifica in Italia” (Rubbettino). (adnkronos)
Paolo Martini
Ugo Apollonio: “Spirito libero, piegato solo dal virus”
«Si era ammalato un mese fa circa da lì è cominciato il calvario. Gli era stata diagnosticata la polmonite all’ospedale Santo Spirito, ma il quadro clinico peggiorava e allora è stato trasferito prima allo Spallanzani e poi al Covid Hospital di Casal Palocco, dove è morto questo pomeriggio.
Siamo stati colleghi per 20 anni, lui era il direttore della scuola di Giornalismo della Luiss e io lavoravo al suo fianco come vice direttore. Ma più che colleghi di università eravamo amici. Lascia un grande vuoto, come uomo e come intellettuale». Lo racconta all’Adnkronos Ugo Apollonio, amico e collega professore alla Luiss di Luciano Pellicani.
Strada accademica che Pellicani aveva tracciato fin dalla gioventù, perché, subito dopo la laurea in Scienze Politiche, conseguita a Roma a 26 anni con una tesi sul pensiero di Antonio Gramsci, si trasferì per gli studi prima in Spagna e poi in Francia. Nella sua casa si respiravano le idee comuniste, ma Pellicani non seguì le orme familiari e se ne allontanò, avvicinandosi fin da allora al pensiero socialista.
Insegnò a Urbino e nel contempo continuava la sua attività di saggista e giornalista. Nella seconda metà degli anni ’70 conobbe Bettino Craxi ed entrò a far parte del pianeta socialista, ma a modo suo, senza corrompere la sua libertà di pensiero e di giudizio. Chi lo ricorda oggi nel giorno della sua scomparsa ne parla come di un «intellettuale lontano dagli apparati di partito».
«Sono orfano di un altro maestro – scrive il giornalista Vittorio Macioce, che con Pellicani si laureò e che oggi lo commemora rimpiangendone le doti – e fatico davvero a scriverne. Pellicani è stato uno dei teorici della svolta democratica nella sinistra italiana. Non è mai stato davvero organico a un partito, anche perché aveva un brutto carattere. Una parte di lui sognava l’anarchia. Mi ha fatto conoscere Ortega y Gasset e i suoi studi sulla ribellione delle masse».
Anarchico o forse più semplicemente guidato dal libero arbitrio, lo fu anche quando non riuscì a dissimulare la delusione per il gruppo dirigente socialista coinvolto in Tangentopoli e travolto dall’inchiesta di Mani Pulite. «Hanno annegato le buone idee nella corruzione», sentenziò. Successivamente, con il crollo dei partiti della Prima Repubblica, nel 1998 si avvicinò ai Socialisti democratici italiani. Non decise, come altri esponenti del Psi, di seguire Silvio Berlusconi in Forza Italia e rimase nell’orbita del centrosinistra.
Sempre con il suo stile e la sua etica di intellettuale libero, senza timore di essere scomodo pur di dire ciò che pensava. Come nel marzo del 2002, quando partecipando a un’iniziativa dell’Ulivo come unico rappresentante socialista, venne sonoramente contestato per aver criticato il giustizialismo di Antonio Di Pietro e dei Girotondi.
Nel 2006 venne candidato al Senato con la Rosa nel Pugno. Non ce la fece a essere eletto, ma non se ne crucciò e non venne meno il suo impegno come docente alla Luiss, dove nel corso di un ventennio insegnò sociologia politica, antropologia culturale e giornalismo.
Tra saggi, scritti universitari, articoli, la sua produzione è imponente e tra questi “La genesi del capitalismo e le origini della modernità”, è considerata un’opera fondamentale nel campo dell’analisi storico sociologica e sulla rilettura critica del pensiero di Karl Marx e di Max Weber.
Altri scritti come “Cattivi maestri della Sinistra. Gramsci, Togliatti, Lukàcs, Sartre e Marcuse” o il suo saggio “Lenin e Hitler. I due volti del totalitarismo” non gli risparmiarono critiche e attacchi. Convinto che il suo habitat naturale fossero le aule universitarie, la redazione di Mondoperaio, che diresse e guidò per moltissimi anni, raramente si concedeva le apparizioni in tv. Fece eccezione per “Ballarò” la trasmissione della Rai condotta Giovanni Floris che fu suo allievo e con il quale si laureò in giornalismo alla Luiss. (adnkronos)
Luca Rufino