ROMA – Il Consiglio dei Ministri, riunito a Palazzo Chigi, ha approvato, su proposta del presidente Paolo Gentiloni, del ministro per lo sport con delega all’editoria Luca Lotti e del ministro per lo Sviluppo economico Carlo Calenda, il Regolamento concernente i criteri di riparto tra i soggetti beneficiari e le procedure di erogazione delle risorse del fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione in favore delle emittenti televisive e radiofoniche locali (decreto del Presidente della Repubblica – esame definitivo).
Il provvedimento, che ha come criteri di merito il sostegno all’occupazione, l’innovazione e la qualità della informazione, è stato adottato ai sensi della legge di stabilità 2016, che ha destinato parte delle risorse derivanti dal recupero dell’evasione sul canone – fino a 100 milioni di euro – per il Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione. Da tale ammontare, fino a 50 milioni saranno destinati alle emittenti radio televisive locali e si andranno a sommare alle risorse già previste per il sostegno alle emittenti locali, pari a circa 67 milioni per il 2017.
“Dopo l’intervento sulle frequenze, l’aumento delle risorse e la creazione del fondo unico con l’editoria, questo ultimo tassello – afferma il sottosegretario allo Sviluppo economico Antonello Giacomelli – rappresenta un elemento decisivo e qualificante che completa il percorso voluto dal governo Renzi e condiviso dal Governo Gentiloni”.
“Il senso del nuovo testo – sottolinea Giacomelli – è quello di premiare chi svolge davvero il ruolo di editore, chi fa informazione, chi assume, investe e rispetta le regole. Chi vuol fare azienda insomma e non chi cerca solo il modo di lucrare un sussidio. Mettiamo così fine ai contributi a pioggia, giustamente stigmatizzati dalla Corte dei Conti e diamo agli operatori locali uno strumento efficace di sostegno a garanzia del merito, del pluralismo e dell’informazione. Approvare il regolamento prima della pausa estiva era il nostro obiettivo e la sollecitazione di tutte le emittenti”.
“Il via libera definitivo al nuovo regolamento per il Fondo tv locali – commenta, dal canto suo, il deputato Michele Anzaldi (Pd), relatore in Commissione Trasporti e Telecomunicazioni della Camera del regolamento sulle tv locali – rappresenta un passaggio fondamentale molto atteso da imprese e lavoratori del settore. Dopo la valutazione del parlamento, che le commissioni Trasporti e Cultura della Camera hanno cercato di velocizzare il più possibile per venire incontro a chi opera nel settore dell’emittenza privata locale e spesso fornisce un vero e proprio servizio pubblico, ora è arrivato l’ok definitivo del Governo, a coronamento di un lungo lavoro del Governo Renzi prima e ora del Governo Gentiloni”.
“Con le nuove regole – aggiunge Anzaldi – si premia chi favorisce il lavoro, chi investe sull’informazione locale, chi tutela le proprie professionalità e la qualità del servizio ai cittadini. In questo senso va anche la richiesta avanzata in commissione di prevedere penalizzazioni per chi diffonde fake news”.
In una nota congiunta, Michele Anzaldi e Roberto Rampi, relatori del provvedimento, rispettivamente, per la commissione Trasporti e la commissione Cultura, evidenziano che “il testo approvato che arriva anche dopo il confronto con le principali associazioni di categoria del settore, contiene delle grandi innovazioni. I criteri con cui vengono individuati i soggetti beneficiari sono stati concepiti in modo da ridurre l’annoso problema della polverizzazione delle risorse. La platea privilegia, dunque, chi tutela maggiormente il lavoro, premiando in particolare le prime 100 emittenti che otterranno i punteggi più alti a fronte delle 600 totali. Viene, infatti, introdotta una maggiore semplificazione delle procedure, che verranno concentrate presso il Mise, cui spetterà l’esame delle domande di contribuzione, superando in questo modo lo schema troppo macchinoso dei Corecom”.
Il segretario generale della Fnsi, Raffaele Lorusso, osserva invece che “il regolamento sui contributi all’emittenza locale approvato dalle commissioni Trasporti e Cultura della Camera introduce principi interessanti e sicuramente innovativi, ma non segna alcuna inversione di tendenza sul versante del contrasto al lavoro irregolare e alla lotta al precariato”.
La revoca dei contributi in caso di diffusione di notizie false rappresenta, infatti, “un passo in avanti nella lotta ad un fenomeno che non ha niente a che vedere con l’informazione, ma è fuori contesto perché il contrasto alle fake news va accompagnato da norme di sistema ugualmente urgenti – vedi cancellazione del carcere per i giornalisti, contrasto delle querele temerarie e tutela dei cronisti minacciati – sui quali il Parlamento continua a tergiversare”.
Sul fronte del rilancio dell’occupazione regolare, è stata, invece, “persa l’occasione per contrastare l’abuso di contratti di lavoro atipico per mascherare lavoro dipendente. Non è possibile che a chi percepisce aiuti pubblici, sotto qualsiasi forma, non vengano richiesti precisi impegni sulla tutela del lavoro e della lotta al precariato. Francamente, non c’era da aspettarsi niente di diverso: il lavoro è il grande assente di tutta la partita delle legge di riforma dell’editoria. Governo e Parlamento, pur introducendo principi e norme innovative, non hanno avuto il coraggio di osare e di invertire la tendenza”.
Il 2 agosto scorso, le Commissioni VII (Cultura, scienza e istruzione) e XI (Trasporti, poste e telecomunicazioni) della Camera dei deputati, hanno infatti esaminato lo schema di decreto del Presidente della Repubblica recante il regolamento concernente i criteri di riparto tra i soggetti beneficiari e le procedure di erogazione delle risorse del Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione in favore delle emittenti televisive e radiofoniche locali, ricordando che “il finanziamento diretto all’editoria da parte dello Stato presenta profili certamente controversi, dal momento che l’erogazione di un contributo pubblico ai quotidiani e alle emittenti radiotelevisive se da un lato determina un aiuto al settore dell’informazione, dall’altro lega, di fatto, un sistema che per definizione dovrebbe presentare caratteri di assoluta terzietà e indipendenza, agli organi finanziatori, i quali assicureranno maggiori benefici ai soggetti fidelizzati”.
Rilevato dalle Commissioni come “l’attuale condizione di erogazione del beneficio determina il mantenimento del quotidiano o dell’emittente anche nel caso in cui la vendita o l’utilizzo del servizio non risulti tale da poter giustificare una simile misura, con pregiudizio sia della qualità dell’informazione, sia del principio della libera concorrenza del mercato”.
Con particolare riferimento al finanziamento pubblico alle sole emittenti locali, i precedenti provvedimenti, tra cui la legge 23 dicembre 1998, n. 448, non prevedevano criteri oggettivi nella distribuzione del finanziamento da destinare, erogando, di fatto, un contributo a pioggia per tutti gli aventi diritto; tale meccanismo ha ulteriormente aumentato le perplessità relative all’opportunità di finanziare attraverso stanziamenti pubblici i servizi di informazione e, più in generale, di trasmissione radiotelevisiva locale, assicurando a tutti una quota parte dei fondi previsti senza alcuna verifica dell’effettiva utilità del finanziamento e, soprattutto, senza previa valutazione della qualità del servizio offerto”.
Le Commissioni hanno, tra l’altro, ricordato che il Consiglio di Stato nel parere espresso il 26 maggio 2017 ha rilevato come il riferimento al numero dei dipendenti in servizio al momento della presentazione della domanda potrebbe determinare comportamenti non corretti da parte delle aziende finalizzate al mero ottenimento del finanziamento. Tuttavia anche tale osservazione è rimasta inascoltata. Sulla disposizione relativa ai criteri numerici riferiti alle emittenti radiofoniche locali, laddove sono richiesti per la concessione dei contributi pubblici solo un numero minimo di dipendenti a tempo determinato e indeterminato (pari a due) ed un numero minimo di giornalisti (almeno uno), il Consiglio esprimeva, a ragione, chiaro dissenso, dal momento che per l’amministrazione la norma «non sembra, tuttavia, consentire di perseguire di per sé, per le radio locali, uno degli obiettivi centrali della riforma riguardante il miglioramento dei livelli qualitativi dei contenuti forniti.
Tra le osservazioni approvate dalle Commissioni della Camera l’obbligo che, “per ogni marchio o palinsesto e per ogni regione per cui viene richiesto il contributo, abbiano un numero di dipendenti compresi i giornalisti professionisti e i pubblicisti, in regola con il versamento dei contributi previdenziali sulla base di apposite attestazioni rilasciate dagli enti previdenziali interessati nei trenta giorni antecedenti alla data di presentazione della domanda, effettivamente applicati all’attività di fornitore dei servizi media audiovisivi nella medesima regione, a tempo indeterminato e determinato, rapportato alla popolazione residente del territorio in cui avvengono le trasmissioni, secondo gli scaglioni di seguito indicati. Sono inclusi nel calcolo i lavoratori part time e quelli con contratto di apprendistato; per i dipendenti in cassa integrazione guadagni, con contratti di solidarietà e per quelli a tempo parziale si tiene conto delle percentuali di impegno contrattuale in termini di ore effettivamente lavorate. In via transitoria, per le domande relative agli anni dal 2016 al 2018 si prende in considerazione il numero dei dipendenti occupati alla data di presentazione della domanda; per le domande inerenti all’anno 2019, si prende in considerazione il numero medio di dipendenti occupati nell’esercizio precedente, fermo restando che il requisito dovrà essere posseduto all’atto della presentazione della domanda. A partire dal 2020, si prende in considerazione il numero medio di dipendenti occupati nei due esercizi precedenti, fermo restando che il requisito dovrà essere posseduto all’atto della presentazione della domanda”.
Di rilevante importanza il fatto che “non possono usufruire dei contributi le emittenti tra i cui dipendenti figurino giornalisti che abbiano riportato provvedimenti definitivi di censura o di sospensione dall’albo, ai sensi della legge 3 febbraio 1963, n. 69, in ragione della falsità delle notizie riportate o diffuse. Ove i contributi siano stati assegnati, se ne dispone la revoca a partire dall’anno successivo in cui il provvedimento è divenuto definitivo”.
Da segnalare, infine. che i punteggi da attribuire alle emittenti televisive premiano le aziende che nell’ultimo biennio occupano giornalisti professionisti iscritti all’Albo full-time (100), quindi pubblicisti full-time occupati (60), dipendenti a tempo indeterminato full-time (60) e personale a tempo determinato o con contratto di apprendistato full-time (30). Confermata, naturalmente, l’esclusione delle collaborazioni coordinate continuative che, appunto, non costituiscono rapporto di lavoro dipendente. (giornalistitalia.it)
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