Brutte notizie per 5 giornalisti e istituto condannato a circa 13mila euro di spese legali

Contributi Inpgi: due sconfitte in Cassazione

ROMA – Altre due decisioni della Cassazione contrarie all’Inpgi in tema di recupero di contributi previdenziali. Con la prima, definita con ordinanza n. 2477 del 3 febbraio 2021, la sezione Lavoro della Suprema Corte ha bocciato il ricorso dell’Inpgi, difeso dall’avvocato Bruno Del Vecchio di Roma, finalizzato ad ottenere i contributi previdenziali per tre giornalisti del Ministero del Lavoro e dell’Editrice Mediterranea.
Con la seconda definita, invece, con ordinanza n. 2274 del 2 febbraio 2021 la sezione Lavoro della Suprema Corte ha definitivamente respinto il ricorso dell’Inpgi che mirava ad ottenere i contributi previdenziali per due giornalisti della Del Duca Editori.
I supremi giudici hanno anche condannato l’Inpgi a rifondere alle controparti circa 13 mila euro per le spese legali. (giornalistitalia.it)

LA PRIMA DECISIONE DELLA CASSAZIONE

Cassazione Sezione Lavoro
Ordinanza n. 2477 del 3 febbraio 2021, udienza del 21 ottobre 2020
(Presidente Antonio Manna, relatore Francesco Buffa)

ORDINANZA

sul ricorso 8444-2015 proposto da:
Inpgi – Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani “Giovanni Amendola”, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cola di Rienzo 69, presso lo studio dell’avvocato Bruno Del Vecchio, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –

contro

– Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, in persona del Ministro pro tempore, e per la Direzione Regionale del Lavoro di Roma sede del Comitato Regionale per i Rapporti di lavoro, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso Avvocatura Generale dello Stato, che li rappresenta e difende ope legis;
– Edizioni del Mediterraneo – Società Cooperativa srl in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione, rappresentata e difesa dagli avvocati Tancredi Mungiello e Luigi Oliverio;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 2424/2014 della Corte d’Appello di Roma, depositata l’8 aprile 2014 R.G.N. 11664/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21 ottobre 2020 dal Consigliere Dott. Francesco Buffa.

RILEVATO CHE:

Con sentenza dell’8 aprile 2014, la Corte di Appello di Roma in parziale riforma della sentenza del 13 settembre 2000 del Tribunale della stessa sede, ha accolto l’opposizione a verbale ispettivo Inpgi proposta dal datore di lavoro in epigrafe, in relazione – per quel che qui rileva – alla posizione di tre giornalisti.
In particolare, la corte territoriale ha considerato l’assenza dell’obbligo di presenza di disponibilità costante dei giornalisti, ha valutato le prove testimoniali e ritenute le relative risultanze prevalenti su quanto accertato dagli ispettori; la corte ha quindi escluso l’esistenza di lavoro subordinato giornalistico per Campione, De Francesco e Cocozza, così differenziandosi dalla pronuncia di prime cure che aveva escluso il lavoro subordinato solo per Campione. Avverso tale sentenza ricorre l’Inpgi per due motivi, illustrati da memoria, cui resistono con controricorso il Ministero del lavoro e la Editrice Mediterranea.

CONSIDERATO CHE:

Con il primo motivo di ricorso si deduce – ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. – violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. e 2697 c.c., nonché/del contratto collettivo di categoria, per non avere la sentenza impugnata considerato i verbali ispettivi.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce – ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c. – il vizio di motivazione in relazione alle risultanze dei verbali ispettivi.
Il primo motivo è infondato, avendo la corte valutato le prove raccolte e tenuto conto altresì delle risultanze dei verbali ispettivi prodotti, con argomentazioni espresse in riferimento al giornalista Campione, ma estensibile a tutti gli altri giornalisti.
Nella specie, non vi è alcuna violazione delle disposizioni invocate e delle regole sull’onere della prova; il motivo tende piuttosto ad una nuova valutazione – preclusa in sede di legittimità – del materiale probatorio raccolto in relazione all’individuazione dei caratteri della subordinazione.
Inappropriato è, in particolare, il richiamo all’art. 2697 c.c., la cui violazione è censurabile in cassazione ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, e non invece ove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia fatto delle prove offerte dalle parti (Cass. 15107/2013 e 13395/2018, tra le tante), come nella specie, ove la corte ha valutato le prove raccolte, tenendo conto altresì delle risultanze dei verbali ispettivi prodotti.
Il secondo motivo è generico e inammissibile in quanto non specifica il fatto decisivo discusso tra le parti ed asseritamente non valutato dal giudice. Con detto motivo, in effetti la parte non deduce un fatto decisivo ignorato dalla sentenza benché discusso dalle parti, ma denuncia in sostanza un vizio motivazionale della decisione impugnata, trascurando che, all’esito del d.l. n. 83/12, non rientra più il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (che rileva solo ove il vizio si converte, in violazione di legge – v. Cass. 19881/14 – ovvero concreti l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio).
Le spese seguono la soccombenza.
Si dà inoltre atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, I. n. 228 del 2012.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento in favore di ciascuno dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3500 per competenze professionali ed euro 200 per esborsi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 21 ottobre 2020.

LA SECONDA DECISIONE DELLA CASSAZIONE

Cassazione Sezione Lavoro
Ordinanza n. 2274 del 2 febbraio 2021, udienza del 21 ottobre 2020
(Presidente Antonio Manna, relatore Francesco Buffa)

ORDINANZA

sul ricorso 9718-2015 proposto da:
Inpgi – Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani “Giovanni Amendola”, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cola di Rienzo 69, presso lo studio dell’avvocato Bruno Del Vecchio, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –

contro

Del Duca Editori srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Piazza Mazzini 27, presso lo Studio Legale Trifirò & Partners, rappresentata e difesa dagli avvocati Paolo Zucchinali, Marina Maria Tona, Giacinto Favalli;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 7836/2014 della Corte d’Appello di Roma, depositata il 27 ottobre 2014 R.G.N. 2738/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21 ottobre 2020 dal Consigliere Dott. Francesco Buffa.

RILEVATO CHE:

Con sentenza del 27 ottobre 2014, la Corte d’Appello di Roma ha confermato la sentenza del 9 novembre 2012 del Tribunale della stessa sede, che aveva accolto parzialmente l’opposizione del datore di lavoro indicato in epigrafe avverso il decreto ingiuntivo con il quale l’Inpgi aveva ingiunto il pagamento di euro 144.114, per contributi e sanzioni dovuti per tre giornaliste, ritenendo dovute le somme solo con riferimento ad una giornalista.
In particolare, valutate le prove testimoniali e considerati i verbali ispettivi versati in causa, la corte territoriale ha ritenuto non esservi nella specie gli elementi del lavoro subordinato giornalistico per Ferronato e Tragni.
Avverso tale sentenza ricorre l’Inpgi per quattro motivi, illustrati da memoria, cui resiste la Del Duca editrice con controricorso.

CONSIDERATO CHE:

Con il primo motivo di ricorso si deduce – ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. – violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. e 2697 c.c., per non avere la sentenza impugnata considerato i verbali ispettivi.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce – ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c. – il vizio di motivazione in relazione alle risultanze dei verbali ispettivi.
Col terzo motivo si deduce – ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. – violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., per avere la corte territoriale deciso la controversia sulla base del materiale istruttorio raccolto in primo grado, sebbene fosse stato in quel grado chiesto reiteratamente l’ascolto di un teste, mai comparso, e, in difetto di tale comparazione, la sostituzione con altro teste.
Con il quarto motivo si deduce – ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. – violazione degli articoli 13 comma 1 quater DPR 115 del 2002 e 1 comma 17 legge 228 2012, per avere la sentenza impugnata condannato al pagamento del doppio del contributo unificato, quale pronuncia conseguenziale alla decisione sulle questioni oggetto dei precedenti motivi di ricorso.
Il primo motivo è infondato, in quanto nella specie non vi è alcuna violazione delle disposizioni invocate e delle regole sull’onere della prova; il motivo tende piuttosto ad una nuova valutazione – preclusa in sede di legittimità – del materiale probatorio raccolto in relazione all’individuazione dei caratteri della subordinazione.
Inappropriato è, in particolare, il richiamo all’art. 2697 c.c., la cui violazione è censurabile in cassazione ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, e non invece ove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia fatto delle prove offerte dalle parti (Cass. 15107/2013 e 13395/2018, tra le tante), come nella specie, ove la corte ha valutato le prove raccolte, nel rispetto degli articoli 115 e 116 c.p.c., tenendo conto altresì delle risultanze dei verbali ispettivi prodotti.
Il secondo motivo è generico e inammissibile in quanto non specifica il fatto decisivo discusso tra le parti ed asseritamente non valutato dal giudice. Con detto motivo, in effetti la parte non deduce un fatto decisivo ignorato dalla sentenza benché discusso dalle parti, ma denuncia in sostanza un vizio motivazionale della decisione impugnata, trascurando che, all’esito del d.l. n. 83/12, non vi rientra più il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (che rileva solo ove il vizio si converte k in violazione di legge – v. Cass. 19881/14 – ovvero concreti l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio).
Il terzo motivo è inammissibile. Occorre rilevare preliminarmente che la parte si duole della mancata sostituzione – in primo grado – di un teste non comparso nonostante le molteplici infruttuose citazioni e sanzioni; ciò posto, deve rilevarsi che non risulta dai motivi d’appello che la parte abbia sollevato simile questione, sicché la stessa, a parte ogni considerazione in ordine alla sua fondatezza (già esclusa da Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 15095 del 19 giugno 2017, Rv. 644733 – 01, non essendo l’istituto della sostituzione dei testimoni OZZ:2 previsto dalla legge), riguarda questione inerente al giudizio di primo grado e non può essere sollevata in sede di legittimità per la prima volta.
Il quarto motivo è puramente consequenziale alla decisione sulle questioni sollevate dai motivi precedenti e come tale va del pari disatteso.
Le spese seguono la soccombenza.
Si dà inoltre atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, I. n. 228 del 2012.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento in favore di ciascuno della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7000 per competenze professionali ed euro 200 per esborsi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto. (giornalistitalia.it)

 

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