TRIESTE – Non parteciperò al referendum del 26 e 27 settembre sul contratto di lavoro giornalistico firmato a fine giugno e invito i colleghi – non solo del Friuli Venezia Giulia – a fare altrettanto. Non parteciperò perchè ho il massimo rispetto degli strumenti di democrazia diretta, della partecipazione di tutti alla vita sindacale, del parere di ognuno. Ma non sopporto le liturgie sindacali e le cose inutili. E questo referendum è una cosa inutile. Peggio: una presa in giro nei confronti di chi (giustamente) ha lamentato un deficit di comunicazione e partecipazione democratica soprattutto nella fase finale che ha portato alla firma di questo contratto.
Il referendum indetto dalla Giunta della Fnsi riunita con la Consulta delle Associazioni regionali di stampa è un “non referendum”. Non è abrogativo per il semplice motivo che non può né vuole abrogare nulla: il contratto è già firmato e vigente e ha avuto già le sue conseguenze nelle decisioni del Governo per il settore dell’editoria e dell’Inpgi. Non è propositivo perchè non propone nulla, nemmeno di stracciare tutto e tornare al tavolo delle trattative con gli editori, cosa peraltro difficilmente praticabile, diciamo pure impossibile.
Ma questo referendum non è nemmeno consultivo. Primo perchè di solito è buona norma consultare qualcuno prima della decisione e non dopo. Secondo perchè non ci aiuterà a sapere cosa pensano i giornalisti italiani di questo contratto: il quorum richiesto del 50% più uno degli aventi diritto al voto (identificati fra l’altro in maniera molto ampia: non soltanto gli iscritti al sindacato, ma giustamente tutti i titolari di una posizione Inpgi…) non sarà mai raggiunto, e dunque – secondo il regolamento redatto – non si procederà nemmeno allo spoglio dei voti.
Sottolineiamo che il non raggiungimento del quorum richiesto è un’assoluta certezza. Al precedente referendum sul contratto non fu raggiunto nemmeno il 10% degli aventi diritto al voto, e la media dei votanti nelle consultazioni della categoria negli ultimi anni è arrivata al massimo al 20%. Con l’aria che tira fra i colleghi, e a tre mesi dalla firma del contratto, accettansi scommesse sull’entità delle folle che a fine settembre si precipiteranno alle urne…
Qualcuno dice che, nel momento in cui alcuni colleghi hanno chiesto il referendum, la Fnsi non poteva esimersi dal convocarlo. Non ci è chiara la ratio. All’ultimo Congresso di Bergamo, gennaio 2011, l’ordine del giorno che proponeva il referendum sui futuri contratti fu sonoramente bocciato. Al pari delle proposte elaborate dopo due anni di lavoro dalla Commissione statuto, volte innanzitutto a creare una struttura federale più snella e meno onerosa per le casse del sindacato. Dunque, bocciata quella proposta, rimangono le vecchie regole. E il contratto firmato a fine giugno dalla giunta è stato approvato nelle scorse settimane dalla Consulta delle Associazioni regionali, dal Consiglio nazionale, dalla Commissione contratto, dalla Conferenza dei Cdr.
Altri dicono che il referendum sarà un’occasione per “spiegare” il contratto. E dei sindacalisti hanno bisogno del referendum per “spiegare” il contratto? Il segretario Franco Siddi – che avrà sicuramente fatto i suoi errori, ma al quale va riconosciuto il merito principale di aver portato a casa il risultato – e tutti noi, Fnsi, Associazioni regionali, Cdr, stiamo da settimane spiegando il contratto. Stiamo tentando di far capire ai colleghi che nell’Italia del 2014, e con una Fieg che il contratto nazionale non lo voleva proprio più, aver rinnovato un accordo collettivo di lavoro somiglia a un miracolo. Stiamo spiegando che il nuovo contratto conferma a grandi linee quello precedente, non toglie diritti a nessuno, semmai aggiunge qualcosa. Non tanto, certo, ma questi sono i tempi che viviamo.
Ma non vogliamo tornare al merito del contratto, alla scelta obbligata di riformare un’ex fissa altrimenti destinata a un veloce default, a un equo o non equo compenso, alle polemiche delle settimane scorse. Restiamo a questo referendum inutile e dannoso. Sì, perchè i colleghi che protestano volevano essere informati e consultati prima, non a cose fatte, tre mesi dopo, senza possibilità di cambiare un fico secco e con un quorum irraggiungibile che impedirà lo stesso spoglio dei voti. I colleghi che protestano, ma non solo loro, davanti a questo referendum si sentiranno presi in giro. E ciò allontanerà ulteriormente la Fnsi dalla sua base che nel corso degli ultimi anni è mutata profondamente.
Per questo referendum si sprecheranno soldi, energie, lavoro gratuito di tanti colleghi impegnati nel sindacato. E ciò fra l’altro alla vigilia di un’altra tornata elettorale – quella sì, importante – per il prossimo congresso. Entro il 20 dicembre dovranno, infatti, essere eletti i delegati, nei primi mesi dell’anno si svolgerà l’assise che esprimerà il nuovo segretario e il nuovo gruppo dirigente. Il lavoro da fare è enorme e impegnativo. Dopo il ventennio delle doppie segreterie di Serventi e di Siddi, all’ordine del giorno della Fnsi c’è quasi una rifondazione.
La categoria è cambiata. Eravamo il sindacato dei privilegiati (e la doppia liquidazione rappresentata dall’ex fissa ne era uno degli ultimi esempi…), oggi siamo il sindacato di chi nelle redazioni sopporta, fra carta e web, carichi di lavoro sempre maggiori e fuori dalle redazioni non riesce a mettere assieme compensi dignitosi per il proprio lavoro.
Potremmo continuare a lungo, consapevoli del fatto che la crisi della rappresentanza ha messo in crisi negli ultimi anni sindacati ben più grandi del nostro. Ma già queste note dovrebbero essere sufficienti a far capire che di tantissime cose, oggi e in futuro, ha bisogno il sindacato dei giornalisti. E un referendum tardivo, inutile, ininfluente e costoso non è nella lista. Vogliamo fare le cose seriamente? Bene, allora impegniamoci tutti a istituire il referendum obbligatorio e vincolante a partire già dal prossimo contratto. Prima e non dopo la sua firma.
Carlo Muscatello
presidente Assostampa Friuli Venezia Giulia