TORINO – Non sono giornate semplici per la nostra categoria. Chi mi conosce sa che sono solito utilizzare il vocabolario della franchezza e così farò anche questa volta, parlandovi dell’epilogo della legge sull’equo compenso per il lavoro autonomo e dell’intesa che va profilandosi per il contratto.
Il decreto emanato dal Governo con l’assenso di Fnsi e Fieg, che stabilisce le tariffe minime del lavoro giornalistico, non può certo essere considerato una vittoria. Però, se da una parte siamo molto lontani da quella civiltà del lavoro che dovrebbe prevedere compensi più alti per le prestazioni a termine e occasionali rispetto alla media del lavoro dipendente, dall’altra va detto che l’atto finale di questa legge non ha fatto che confermare i dubbi che molti nutrivano fin dai primi tempi. Detto in maniera semplice, il percorso dell’equo compenso ha confermato tutte le difficoltà nello stabilire un prezzo minimo a una prestazione professionale che si fonda, almeno in linea di principio, sulla trattativa tra le parti.
Altri, che in maniera strumentale avevano alimentato aspettative irragionevoli, oggi gridano invece allo scandalo, ma sono le urla della demagogia che pervade ormai anche la nostra categoria.
Ancor più bizzarro che parte di questi strali arrivino proprio da quell’Ordine dei giornalisti che conta oltre centomila iscritti, la metà dei quali, come testimoniano i dati Inpgi, non ha nulla a che vedere con la professione giornalistica. Sono proprio questi numeri elefantiaci e fuori dalla realtà a svalutare il costo del nostro lavoro: in Italia le persone che svolgono questa professione sono circa cinquantamila (una cifra che sarebbe in linea con Francia, Germania, Gran Bretagna) ed è del tutto evidente che un Ordine che ne conta il doppio indebolisca il mercato.
La verità è che questa legge, nella sua parte economica, non fa compiere alcun passo in avanti, ma allo stesso tempo non ne farà fare altri indietro: chi già oggi riusciva a ottenere pagamenti congrui facendo pesare la sua professionalità, continuerà su questa strada, per tutti gli altri, la situazione resterà inalterata. Anzi, a dirla tutta, sparirà lo scandalo degli articoli pagati tre euro: per pochi che siano, ne saranno comunque necessari almeno venti.
Sostenere come ha fatto qualcuno che le aziende abbasseranno tutti i compensi sulle soglie minime è puro terrorismo: se avessero voluto, avrebbero potuto farlo anche prima e senza alcun ostacolo.
Detto questo, sarebbe anche sbagliato dimenticare quel che, molto probabilmente, si otterrà nella parte normativa al tavolo negoziale sul contratto di lavoro.
Nelle bozze sulle quali stanno lavorando Fnsi e Fieg vi è scritta la possibilità che ai collaboratori venga consentito di beneficiare della previdenza complementare, dell’assicurazione contro gli infortuni e dell’accesso alla Casagit. Inoltre, non è escluso che siano ammessi all’interno della gestione principale dell’Inpgi, accedendo così a pieno titolo al welfare di categoria.
Sono certo piccoli passi ma in un mercato del lavoro che va destrutturando in molti settori il sistema delle regole e delle garanzie alle persone, sarebbe sbagliato sottovalutarli.
E del resto le spinte a un’uscita violenta dalle regole esistono anche nella nostra controparte: non è un mistero che all’interno della Federazione degli editori si confrontino da mesi due linee contrapposte: da una parte i cosiddetti “falchi” che vorrebbero disdettare il contratto e passare a un regime “modello Fiat”, fatto di intese azienda per azienda. Dall’altro, la linea per ora prevalente di chi, pur con un’idea del mercato del lavoro molto diversa dalla nostra, vuole restare all’interno di un quadro di regole condivise.
Sono le tensioni ovvie e prevedibili di un settore che si dibatte in una crisi epocale e dalla quale, dobbiamo dirci con franchezza, non si vede ancora l’uscita.
Mantenere in piedi un contratto, naturalmente, ci costerà sacrifici: la ex fissa sarà progressivamente trasformata in un’integrazione alla pensione, mentre per favorire nuova occupazione dovremo accettare sacrifici salariali per i nuovi arrivati. In cambio otterremo un’aliquota aggiuntiva per sostenere gli ammortizzatori sociali e un meccanismo di sgravi contributivi che dovrebbe assicurare nuova occupazione.
Alcuni pensano che questo insieme di provvedimenti rappresenti la liquidazione della professione giornalistica. Io, e di questo mi assumo fin da ora tutta la responsabilità, credo invece sia il tentativo estremo per rimettere in moto un mercato del lavoro agonizzante.
Ma c’è un’altra e definitiva ragione per la quale, se non vi saranno cambiamenti estremi nella piattaforma, sono orientato a dare il mio via libera.
Se non dovesse essere trovata un’intesa, si aprirebbero infatti due scenari, entrambi poco augurabili. Nel primo ci troveremmo di fronte a un Governo determinato a legiferare e a destinare i fondi già stanziati per l’editoria concertando esclusivamente con gli editori, senza alcuna attenzione agli argomenti portati in questi mesi dal sindacato, a partire da quelli occupazionali.
In alternativa, o forse in maniera combinata, potremmo trovarci dinnanzi a drammatico azzeramento del contratto nazionale di lavoro e i primi a pagarne le conseguenze sarebbero le centinaia di colleghi che lavorano nelle piccole realtà.
Giornalisti con un bassissimo peso negoziale quando non addirittura ricattati dai loro editori che si troverebbero da un giorno all’altro senza alcun tipo di garanzia. Inutile dire poi, che in questo scenario, il poco che è stato possibile ottenere per i lavoratori autonomi andrebbe in fumo. Questa è la posta in gioco e queste sono le scelte che il tempo ci consente.
Il 4 luglio nell’assemblea annuale degli iscritti, avremo tempo e modo di confrontarci e con noi ci sarà anche il segretario Franco Siddi. Prima di allora volevo, però, che le mie scelte fossero chiare a tutti voi. La mia cultura politica non è mai stata e non sarà mai quella di chi grida “boia chi molla”.
“Più lentamente e più in profondità” ci insegnava il collega Alex Langer ed è quel che ci serve se vogliamo che nel nostro paese continui a esistere un’informazione libera e indipendente.
Stefano Tallia
Segretario Associazione Stampa Subalpina