ROMA – Con una riforma delle competenze e funzioni degli Ordini professionali che ha provocato molti più impacci che vantaggi, le competenze in materia disciplinare in precedenza appannaggio dei consigli degli Ordini sono state trasferite a soggetti nuovi di zecca, i Consigli territoriali di disciplina.
Il decreto legge n. 138 del 13 agosto 2011 recante misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e lo sviluppo, convertito con la legge n. 148 del 14 settembre 2011 ha incongruamente previsto all’art. 3 vari interventi in materia di professioni, tra cui la divisione tra funzioni amministrative e funzioni disciplinari per le istituzioni ordinistiche.
Il successivo decreto del Presidente della Repubblica n. 137 del 7 agosto 2012 (entrato in vigore il 14 agosto 2012) contenente il regolamento attuativo della riforma degli ordinamenti professionali ha rinviato la disciplina di molte materie, tra cui quella disciplinare, all’emanazione, da parte dei Consigli nazionali degli Ordini professionali, di regolamenti sottoposti al parere del ministero della Giustizia.
Il Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti ha adottato il regolamento delle funzioni disciplinari che, ottenuta l’approvazione del ministero della Giustizia, è divenuto operativo il 14 dicembre 2012.
I Consigli di disciplina territoriali, con competenza sulla stesso ambito territoriale (regionale) del corrispettivo Consiglio dell’Ordine, sono costituiti da nove membri, de quali cui il più anziano per iscrizione all’Albo riveste le funzioni di presidente mentre il più giovane quelle di segretario. I Consigli, a loro volta, sono strutturati in collegi giudicanti formati da tre membri appartenenti allo stesso Consiglio e individuati di volta in volta dal presidente del Consiglio di disciplina territoriale. Anche il collegio giudicante è presieduto dal componente più anziano, mentre il più giovane svolge le funzioni di segretario. In ogni collegio, formato da un pubblicista e due professionisti almeno un componente deve essere donna.
La scelta dei consiglieri di disciplina territoriali è frutto di una doppia scelta: il Consiglio regionale dell’Ordine elabora una rosa di diciotto candidati che sottopone al Presidente del Tribunale del capoluogo regionale perché designi i nove componenti del Consiglio territoriale di disciplina.
Al di là di altre considerazioni sulla complicazione introdotta con la duplicazione degli organi dell’Ordine, comune a tutti gli Ordini professionali, per i soli giornalisti la costituzione dei Consigli territoriali di disciplina ha creato un problema che sarebbe bene il governo risolvesse, anche con la scelta della decretazione d’urgenza.
Nei Consigli di disciplina territoriale è prevista la presenza di tre pubblicisti (una categoria, di chi esercita con continuità e retribuito l’attività professionale – giornalistica – ma non come lavoro esclusivo, che è presente solo nell’Ordine dei Giornalisti), la cui partecipazione alle riunioni plenarie del Consiglio, ed anche a quelle ristrette dei collegi, è spesso resa problematica dall’esercizio dell’altro lavoro, quello prevalente: per i pubblicisti dipendenti da amministrazioni pubbliche o da privati non sono, infatti, previsti permessi per poter espletare le proprie funzioni.
Poiché i Consigli di disciplina esercitano funzioni di cosiddetta “magistratura domestica”, sia pure di giustizia amministrativa, i consiglieri di disciplina dipendenti da aziende o enti non giornalistici dovrebbero essere equiparati, per poter svolgere la loro funzione, che è comunque pubblica, ai giudici popolari che integrano come membri non togati i collegi giudicanti nelle Corti di assise: A carico dello Stato, per ogni giorno di effettivo esercizio della funzione di giudice popolare, ricordiamo, è prevista un’indennità, se i giudici popolari sono lavoratori dipendenti senza diritto nel proprio contratto collettivo alla retribuzione nel periodo in cui esercitano le loro funzioni.
Equiparare allora i pubblicisti dipendenti nominati nei Consigli di disciplina territoriali ai giudici popolari è la soluzione più semplice per consentire il funzionamento (ed il plenum) di questi strategici organismi, oberati peraltro, per ulteriori innovazioni nell’ordinamento professionale delle varie professioni (vedi la formazione continua), di lavoro per le nuove possibili violazioni deontologiche di cui devono occuparsi.
È un allarme che nella recentissima assemblea per l’esame e l’approvazione del bilancio ha lanciato, con specifico riferimento ai pubblicisti dipendenti dal ministero dell’Istruzione, la presidente del Consiglio territoriale di disciplina della Puglia, Tea Sisto.
Fra parentesi, il costo di un provvedimento in materia sarebbe irrisorio: in tutto, i giornalisti pubblicisti presenti nei Consigli territoriali di disciplina delle venti Regioni italiane sono 60: non tutti sono lavoratori attivi, non tutti sono lavoratori dipendenti. (giornalistitalia.it)
Giuseppe Mazzarino