RIAD (Arabia Saudita) – Si intensifica la stretta della monarchia saudita sulle donne che sostengono, anche indirettamente, il dissenso sui social: 45 anni di carcere è l’ultima scioccante sentenza pronunciata contro Nourah al-Qahtani per alcuni post non graditi al regime, a poche settimane da quella, a 34 anni, toccata a Salma al-Shehab, madre di due figli, per avere semplicemente ritwittato i messaggi di alcuni dissidenti. Entrambe le sentenze sono state pronunciate in appello.
«Solo poche settimane dopo la scioccante condanna a 34 anni di Salma al-Shehab, la condanna a 45 anni di Nourah al-Qahtani mostra quanto le autorità saudite si sentano legittimate nel punire anche le critiche più lievi dei suoi cittadini», ha affermato Abdullah Alaoudh, esponente dell’organizzazione per i diritti umani Democracy for the Arab World Now (Dawn), fondata dal giornalista saudita Jamal Khashoggi, lui stesso ucciso e fatto a pezzi nell’ambasciata saudita di Istanbul per le sue posizioni anti regime.
Di Nourah al-Qahtani non si sa molto, e non risulta neanche avere al momento un account Twitter attivo. Ha ricevuto la pesante condanna in appello dopo essere stata giudicata colpevole di «aver usato Internet per lacerare il tessuto sociale del Paese» – come si legge sul documento del tribunale diffuso da Dawn – e per «violazione dell’ordine pubblico» tramite i social media, ai sensi della legge antiterrorismo e anti-criminalità informatica del Regno.
L’altra donna condannata, Salma al-Shehab, si è vista infliggere 34 anni di carcere per aver aperto un profilo Twitter ed aver ritwittato messaggi di dissidenti e attivisti. Salma frequentava un dottorato di ricerca all’Università di Leeds, in Gran Bretagna, ed è stata arrestata durante una vacanza nel suo Paese. La donna è stata inizialmente condannata a tre anni di carcere per il “reato” di utilizzo di un sito Internet finalizzato a «causare disordini pubblici e destabilizzare la sicurezza civile e nazionale», poi una corte d’appello ha emesso la nuova condanna a 34 anni di carcere e altrettanti di divieto di viaggio dopo che il pubblico ministero ha chiesto alla Corte di prendere in considerazione altri presunti crimini.
La visita del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, in Arabia Saudita nel mese di luglio, finalizzata a ridisegnare i rapporti e gli equilibri nel Golfo, anche alla luce della crisi ucraina e dell’emergenza energetica, è stata vista dagli attivisti sauditi come un incoraggiamento a intensificare la repressione nei confronti di dissidenti e di altri attivisti pro-democrazia; e le recenti condanne sembrano dar loro ragione, anche se su alcune dichiarazioni fatte durante la visita Riad e Washington hanno fornito versioni diverse. (ansa)
Domitilla Conte