ROMA – Acque agitate sulla preselezione del concorso per l’inserimento di 90 giornalisti professionisti nelle sedi regionali della Rai tenutosi, il 10 ottobre scorso, alla Fiera di Roma, mentre Viale Mazzini pubblica l’elenco degli ammessi e dei non ammessi alla fase successiva.
Gli ammessi, ovviamente, esultano nella speranza di staccare il biglietto d’ingresso in Rai, qualcun altro continua a incensarsi per la presenza al concorsone del 74% dei candidati. Candidati che, per non perdere una delle rare occasioni di lavoro offerte dal mercato, sono stati costretti a convergere da tutta Italia nella capitale, dove, per il dilagare dei contagi da Coronavirus, risultano esauriti i posti disponibili nei reparti Covid di diversi ospedali, a cominciare dal Policlinico Gemelli. Ad un tempo, però, si continuano a registrare annunci di ricorso.
Nessuna denuncia di irregolarità, ma la fotografia di una selezione che, purtroppo, ha evidenziato tante, troppe, criticità. A cominciare da quella relativa alla segretezza della prova.
«Perché – si chiedono numerosi candidati – non è stato previsto che test e scheda anagrafica venissero consegnati in busta chiusa assieme ad un’ulteriore busta contenente le generalità del candidato, come avviene per l’esame di idoneità professionale e in tutti i concorsi pubblici del Paese?»
Al gong che ha segnato la fine dei 100 minuti per le 100 domande, infatti, ai candidati è stato chiesto di alzarsi in piedi e consegnare in mano al personale di sala il foglio contenente le risposte e la scheda anagrafica “libera”, dunque facilmente riconoscibile. In molti si chiedono anche perché le generalità del volontario – uno per regione – che si è offerto di assistere alla correzione dei test non siano state rese note agli altri candidati.
E ancora, «perché il presidente di Commissione, Marcello Sorgi, – è un altro interrogativo sulla bocca di tanti candidati – dagli altoparlanti orwelliani della Fiera di Roma ha annunciato che gli elaborati della prova sarebbero stati corretti entro la sera della stessa giornata di sabato, quando indiscrezioni, non smentite, hanno fatto trapelare che per i candidati di fede ebraica la prova è avvenuta ieri, 12 ottobre, mentre per alcune giornaliste in stato di gravidanza oggi».
Incongruenze, come denunciato ieri da un gruppo di candidati che ha scritto ai vertici di Viale Mazzini, che evidenziano l’uso di pesi e misure diverse. All’insegna della tanto declamata trasparenza, spunta, dunque, sia il comitato di giornalisti che hanno partecipato alla prova ed esigono chiarezza su questi punti, che il comitato degli esclusi, ovvero di quanti non si sono presentati alla Fiera di Roma per motivi di salute o per paura del contagio. Colleghi che, giustamente, pretendono dalla Rai spiegazioni sul perché non sia stata preventivamente annunciata a tutti la possibilità di sostenere la prova in date diverse. Già, perché?
Tante anche le perplessità sull’organizzazione. Perché, in sede di identificazione dei candidati, non è stato chiesto loro di abbassare la mascherina per controllare se il volto corrispondesse con quello dei documenti di identificazione consegnati?
Un giornalista rivela: «Mi sono presentato con occhiali da sole e mascherina (ovviamente sul naso e sul volto), come hanno potuto accertare che fossi veramente il titolare della carta di identità che ho consegnato?»
Altre perplessità sull’uso dei cellulari: «Ci hanno chiesto di metterli in una busta e appoggiarli sul tavolo. Nessuno, però, nel corso della prova è passato a controllare, né è stato detto di fare la stessa cosa con i telefoni Iwatch che, come si sa, hanno il collegamento ad internet. Musica completamente diversa, insomma, rispetto all’esame di idoneità professionale, dove, oltre all’uso del metal detector per controllare se all’interno della sede di esame vengano introdotte attrezzature informatiche, telefonini e Iwatch devono essere consegnati all’ingresso».
A questi ricorsi si affiancheranno quelli dei candidati che hanno riscontrato palesi errori nella formulazione di alcuni quesiti. Un fenomeno diffuso soprattutto nelle domande territoriali. Il più clamoroso in Calabria dove la commissione per il concorso Rai ha posticipato, addirittura di dieci anni, la data della strage di Duisburg, in Germania. Secondo il quesito sarebbe avvenuta a ferragosto 2017, in realtà la strage risale al 2007.
Alcuni candidati – che, ricordiamo, sono giornalisti – hanno segnalato alla responsabile del padiglione il grossolano errore, ma l’appello è caduto nel vuoto. Addirittura, a prova conclusa, la stessa responsabile ha riferito di essersi confrontata con la commissione che le avrebbe risposto che non avrebbe corretto o cambiato la domanda. Più che legittimo, quindi, il dubbio tra i candidati: chi controlla i controllori che non riescono a formulare quesiti corretti? Quante e quali altre domande del test contengono errori più e meno marchiani?
Capitolo a parte, le misure anti Covid. Se è vero che il percorso di accesso ad ostacoli ha funzionato all’ingresso, lo stesso non si può dire per l’uscita, dove il personale non ha potuto garantire il distanziamento fra i candidati. Per non parlare della calca che si è creata sui binari della stazione Fiera di Roma, così come ampiamente previsto dai firmatari della prima lettera inviata alla Rai in cui si chiedeva il rinvio del concorso o lo spostamento nelle sedi regionali a causa dell’emergenza sanitaria. Ma questa è un’altra storia. (giornalistitalia.it)
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