CROTONE – Non so se esista il diritto alla serenità. Dovrebbero inserirlo tra quelli inalienabili. No, io non ci sarò tra i quasi 4 mila candidati al concorsone indetto dalla Rai per 90 giornalisti da inserire nelle sedi regionali. Non ci sarò, non certo perché non vorrei tornare a lavorare in redazione, in tv, facendo quello che ho sempre fatto e che ho sempre scelto. Non per questo. Anzi, mi fa male pensare che sono anni che aspetto questo momento. Ma io sono giornalista e nessuno può ledere la mia autonomia, la mia integrità, i miei diritti.
Di solito, chi fa questo mestiere aiuta gli altri a farli rispettare i diritti, non a violarli o, peggio, a violentarli. Perché questo è quanto accaduto a me e ad altri che come me hanno deciso, alla fine, di non partecipare.
La Rai, che per diverso tempo ha rimandato questo appuntamento, ha poi avuto la bella pensata di farlo in piena emergenza Covid-19. In quello che tutti stanno identificando come il periodo di inizio della seconda ondata. Seconda ondata della malattia che, negli ultimi mesi, ha bloccato il mondo e che, se non prevarrà il senso di responsabilità individuale e collettiva, tornerà a farlo. Ebbene, l’azienda di viale Mazzini ha deciso di ignorare questo particolare inquietante ed ha chiesto a circa 4 mila professionisti – di fatto obbligandoli – di fare una scelta. Partecipare al concorso ora o mai più, anche rischiando di contrarre un virus potenzialmente mortale.
Ecco perché ho ritenuto doveroso scrivere questa lettera aperta. Non solo per me e per quelli che, come me, hanno pensato alle proprie famiglie e alla propria salute, decidendo di non esporsi ad un possibile contagio. Lo scrivo per quanti domani saranno lì, alla Fiera di Roma, nonostante si siano battuti strenuamente, chiedendo alla Rai di ripensare i modi per sostenere la prima fase della selezione, o i tempi, in attesa di periodi meno rischiosi (che pure ci sono stati). E, invece, la Rai ha violato il diritto di tutti noi. Il mio, privandomi della libertà di provare; quello di chi parteciperà, che dovrà subire il duplice stress della prova e della paura di ammalarsi.
Ebbene io, per una azienda che non sa fermarsi e che non sa ascoltare, non ci voglio proprio lavorare. E voglio anche dire un paio di cose su questa Rai così poco lungimirante. Lo voglio dire in particolare a quei sindacalisti che si sono affannati a bollare come “poco trasparente” la legittima richiesta, avanzata da più di 60 colleghi di tutta Italia, affinché la Rai ripensasse modi o tempi, accusandoli, addirittura, di prendere “posizioni ambigue su questo concorso, con la scusa del Covid”.
Mi trattengo dal desiderio di scoprire come siano stati assunti i giornalisti in questione, per semplice distanza morale dalla bassezza delle affermazioni. Ma ne faccio simbolo, chiedendomi se davvero sia stato rispettato, da questi colleghi, il ruolo per il quale sono stati chiamati. Perché quando si diventa sindacalisti, di solito, si ha la volontà di spendersi per tutta la categoria. Prendendo posizioni in difesa dei diritti degli altri. Di tutti gli altri, anche di chi la pensa diversamente da noi. Evidentemente il sindacato con il quale mi batto io deve aver sbagliato regole di ingaggio. O, più probabilmente, le hanno sbagliate gli altri.
Una cosa la so, questa senza ombra di dubbio. Quando si decide di fare il giornalista, lo si deve fare per amore della verità. Per raccontare e denunciare quello che altri vorrebbero si tacesse. Ritengo sia di una violenza inaudita dover affrontare una prova per ottenere un lavoro correndo il rischio di ammalarsi e di morire. Questo mi ha impedito di essere tra i partecipanti: la violenza usata, più ancora del Covid. (giornalistitalia.it)
Rossana Caccavo
Se avessero tutti la schiena dritta come la collega… Purtroppo invece c’è chi, dall’alto della sua posizione di privilegio, si è limitato ad additarci come coloro che volevano solamente rimandare la prova per chissà quale motivo. Invece no: ci state privando di un diritto sacrosanto al quale siamo costretti a rinunciare per proteggere la salute nostra e, ancora di più, delle persone che amiamo. Ma alla Rai, evidentemente, tutto ciò non interessa!
Concordo in tutto con l’articolo della collega. Anch’io rinuncio; fa specie ed è oltremodo paradossale che sia proprio la tv di Stato ad ostinarsi, venendo meno alle disposizioni del Governo (quindi dello stesso Stato) che ha prolungato l’emergenza covid fino al 31 gennaio.
Perché in TV ci dicono di tenere la mascherina anche a casa e nella realtà ci costringono a rischiare la nostra vita
Ho rinunciato anch’io, a malincuore. Non me la sono sentita di rischiare, anche per via del viaggio della speranza che, dal profondo sud, avrei dovuto fare per arrivare a Roma. Avrei tanto altro da aggiungere, ma l’amarezza é troppa.
Grazie Rossana per avermi dato voce.
Non conosco personalmente la collega, ma questa lettera è da standing ovation!