NETTUNO (Roma) – Profonda commozione ai funerali del giornalista Andrea Bottone scomparso, all’età di 62 anni, nella notte tra sabato e domenica.
Stamane, al Santuario di Nostra Signora delle Grazie, colleghi ed amici hanno voluto stringersi attorno alla famiglia per rendere omaggio – ricordano i consiglieri nazionali romani della Fnsi, Pierangelo Maurizio, Paolo Corsini e Federica Frangi, – un bravissimo collega pubblicista, più giornalista di tanti giornalisti professionisti”.
Nato a Pantelleria il 18 ottobre 1952, era giornalista pubblicista iscritto all’Ordine del Lazio dal 28 febbraio 2000. Stimato insegnante di Economia presso l’Itis Trafelli di Nettuno, ha avuto una lunga militanza politica nel centrodestra. Sue le battaglie per creare il borgo “La Canala” e per migliorare il Comune di Nettuno.
“Sempre pieno di idee, proposte, entusiasmo, sempre con un punto di vista originale”, ricorda Pierangelo Maurizio, “aveva anche partecipato con il nostro gruppo al penultimo congresso della Romana, il giorno o pochi giorni prima di sottoporsi ad un’operazione, una delle tante. Dieci-quindici giorni fa l’ho sentito mentre era ricoverato agli Ifo in isolamento perchè anche uno starnuto avrebbe potuto essergli fatale. Con un filo di voce mi ha chiesto: «Ti ricordi i bamboccioni evocati da quel ministro?». Certo. ho risposto. E lui: «Se potessi scriverei un pezzo sui bamboccioni al governo…». Spero di poterlo scrivere il prima possibile, quell’articolo”.
“Ho una pessima memoria – aggiunge, dal canto suo, il collega Marco Ferrazzoli – e non ricordo precisamente quando ci siamo conosciuti con Andrea, ricordo però che da quasi subito riuscì a piazzare al giornale la proposta con cui era arrivato. Si notava per presenza e modo di fare, soprattutto per la determinazione. Le redazioni sono porti a cui approda l’umanità più varia, talvolta folcloristica, ma Andrea, al di là di qualche accento naive, aveva idee chiare, precise e molto serie.
Aveva scoperto che sul tetto di un ministero il custode aveva sistemato un alloggio con tanto di orto ed era convinto che in altre sedi pubbliche avremmo trovato situazioni analoghe. Aveva ragione. Il direttore, però, non se ne fidava più di tanto e così, per approvargli la proposta, pretese che lo seguissi passo passo nelle sue inchieste.
Scoprimmo e fotografammo l’orto, le entrate secondarie non controllate con cui si poteva accedere a sedi di uffici teoricamente blindati, beccammo un custode in piena pennica con i piedi sul bancone della guardiola… Andrea scattava la foto, rideva, poi scrivevamo. Scoppiò un piccolo terremoto. Telefonate, lamentele, tentativi di rettifica.
Ancora ad anni di distanza, uno degli uffici stampa di uno di quei ministeri mi contestò le conseguenze di quella nostra inchiesta. E ancora molti anni dopo, anche di recente, abbiamo letto e visto servizi analoghi. Ma noi facemmo tutto per mero divertimento professionale, i tempi del giornalismo ‘anti-casta’ più esasperato erano ancora lontani. Da allora siamo rimasti sempre amici. Uniti da un affetto e da una stima reciproci e sinceri, anche se ho il dubbio di non averglieli dimostrati abbastanza.
Di Andrea hanno continuato a sorprendermi sempre proprio la determinazione e la caparbietà con cui si era presentato all’inizio. Di origini e indole umili, aveva studiato, era diventato insegnante, ha animato iniziative culturali di alto livello, anche su temi molto raffinati, si è dato all’associazionismo, al sindacato… Un caterpillar a cui sembrava non mancare mai la forza. E che non mancava mai quando serviva esserci.
Qualunque cosa, nella vita, l’ha affrontata così. Anche la malattia, combattendo come un leone fino a diventare per i medici una sorta di ‘caso’ di studio. Mai un cenno di cedimento, di crisi, se non quando i problemi hanno toccato le persone a lui care. Diceva solo ‘Signore, se proprio me le devi mandare tutte, almeno una alla volta…’.
Già, perché la fede è stata senz’altro la sua principale fonte energetica. Solo negli ultimissimi tempi confessava a mezza bocca che la stanchezza era tanta. Ma – conclude Marco Ferrazzoli – quel motto che ripeteva, ‘boia chi molla’, per lui non era un’affermazione tronfia di retorica ideologica, era davvero uno stile di vita. Il suo”.
Il ricordo di Pierangelo Maurizio, Paolo Corsini, Federica Frangi e Marco Ferrazzoli