CATANIA – “Socialmente pericoloso”. Lo è per i magistrati di Catania l’editore Mario Ciancio Sanfilippo, per il quale ieri è scattata la confisca dell’impero da oltre 150 milioni di euro, comprendente 31 società e soprattutto il quotidiano La Sicilia (di cui oggi Ciancio ha lasciato la direzione responsabile, ndr) le emittenti Antenna Sicilia e Telecolor e quote di maggioranza della Gazzetta del Mezzogiorno.
Una valutazione, quella sulla pericolosità sociale, riferibile fino al 2013, quando è stato raccolto dai pm l’ultimo riscontro.
Ieri sera l’imprenditore ha comunicato di avere lasciato dopo 51 anni la direzione della testata catanese, protestando la propria innocenza e la propria assoluta distanza dalla mafia, ma per la procura avrebbe avuto un “rapporto continuativo con esponenti di Cosa nostra” e il suo patrimonio “è in parte frutto di reato e in parte non trova giustificazione nei redditi conseguiti, quindi deve ritenersi illecito”.
Per l’accusa Ciancio “piegava alla sua volontà la linea editoriale, non solo scegliendo persone di sua fiducia e allontanando giornalisti non graditi, ma anche dettando precise direttive laddove aveva specifici interessi imprenditoriali”. E la mafia sarebbe stata “interessata” a tale linea editoriale.
Avverte la procura che non si vuole sostenere che “la linea editoriale abbia apportato un contributo stabile a Cosa nostra catanese”, ma cita alcuni casi come “la mancata pubblicazione del necrologio del commissario Montana nel 1985, le campagne di stampa di quando iniziò a collaborare il boss Avola, o i titoli sull’arresto di Benedetto Santapaola o la pubblicazione di lettere di capimafia quali Vincenzo Santapaola o dei Cappello”.
Così la procura ritiene che, “comunque, l’analisi della linea editoriale, in alcuni casi ‘non ostile’ a Cosa nostra, deve certamente essere raffrontata con la libertà di stampa”.
Tra i casi elencati dai magistrati anche la convocazione nell’ufficio di Ciancio di un suo giornalista che trovo seduto un Giuseppe Ercolano che protestava perché definito dal cronista in un suo articolo “massimo esponente della nota famiglia sospettata di mafia”.
“Mai nessun rapporto con i boss”, ribadisce l’86enne Ciancio, sotto processo per concorso esterno e che, rivendicando “il diritto vivere da cittadino libero da interminabili processi”, prepara l’appello contro l’ultima, pesantissima, tegola giudiziaria. (agi)
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