PECHINO (Cina) – Seimila candidati per 90 posti nel giornalismo. Non è una grande testata occidentale ad assumere, ma la divisione in lingua inglese di China Central Television, China Global Television Network, nella sua sede britannica recentemente aperta, con una missione chiara: “Riportare le notizie dalla prospettiva della Cina”.
Cgtn è forse il caso maggiormente noto dell’espansione internazionale dei media cinesi sulla spinta diretta del presidente, Xi Jinping, che nel 2016 ha deciso di serrare i ranghi sull’informazione, facendo visita ai tre principali media statali: l’agenzia Xinhua, il Quotidiano del Popolo e, appunto, la Cctv.
I media, aveva detto Xi in quell’occasione, sono “cruciali” e devono “proteggere l’unità e l’autorità del partito”, allineandosi all’ideologia del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese.
La prospettiva è allettante per i candidati: stipendi competitivi, scrive il quotidiano The Guardian, e un posto di lavoro a Londra per “raccontare bene la storia della Cina e disseminare la voce della Cina”, secondo le parole dello stesso Xi.
Le regole di ingaggio per chi vuole lavorare nei media cinesi sono state ribadite anche di recente dal presidente dell’agenzia Xinhua, Cai Mingzhao, in un articolo comparso sulla rivista Qiushi (“Cercare la verità”), organo del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese.
Cosa si chiede ai giornalisti
I giornalisti della principale agenzia di notizie della Cina, ha scritto Cai, devono “mantenere un alto livello di uniformità in termini di posizioni politiche, orientamento politico, principi politici e percorso politico con il Comitato Centrale del partito, con Xi Jinping al suo nucleo”.
Per i giornalisti della Xinhua, ha proseguito Cai, “il compito principale” deve essere “la diffusione del pensiero di Xi Jinping per il socialismo con caratteristiche cinesi per la nuova era”, oggi iscritto nella Costituzione cinese e nella carta fondamentale del Pcc, e per svolgerlo devono “innalzare la qualità e il livello della propaganda positiva”.
Per quanto riguarda la propaganda esterna, Cai, infine, ha sottolineato che “dobbiamo rinnovare il nostro discorso”, sempre tenendo il pensiero del presidente cinese come “la più alta priorità”.
L’espansione dei media è essenziale, nella prospettiva cinese, che spesso rimprovera i media occidentali, di avere pregiudizi nei confronti di Pechino. L’importanza crescente del loro ruolo come veicolo del messaggio cinese, non solo internamente, ma soprattutto all’esterno, non è passato inosservato agli occhi di Washington.
Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha attaccato la Cina, a settembre scorso, per il tentativo di influenze elettorali negli Stati Uniti, cogliendo di sorpresa Pechino, che ha smentito le accuse a strettissimo giro di posta: come prova, Trump ha mostrato su Twitter foto di un inserto del quotidiano China Daily in un giornale locale dell’Iowa, il Des Moines Register.
In realtà, prima della stampa locale, a cedere alle lusinghe della propaganda pagata profumatamente da Pechino, furono però anche giornali internazionalmente noti, come il Washington Post.
Trump preoccupato dei media cinesi
Il timore di un ruolo eccessivo dei media cinesi negli Stati Uniti aveva provocato malumori nell’amministrazione Usa, al punto che il Dipartimento di Giustizia di Washington avrebbe chiesto alla Xinhua e a Cgtn di registrarsi come agenti stranieri. Le voci, comparse su alcuni media statunitensi, non sono piaciute a Pechino, e il portavoce del Ministero degli Esteri, Geng Shuang, aveva chiesto agli Usa di “non politicizzare il ruolo dei media”.
Ancora meno gradite sono state, alcuni giorni più tardi, le accuse formulate dal vice presidente cinese, Mike Pence: Pechino, ha detto in un discorso al think-tank conservatore Hudson Institute all’inizio di ottobre scorso, usa “mezzi economici, politici e militari, e la propaganda, per aumentare la propria influenza e a beneficio dei propri interessi negli Stati Uniti”.
Le influenze dirette di Pechino sul processo elettorale statunitense, che Trump definisce “un problema molto più grosso” di quello sollevato dal ruolo della Russia, non sono finora state provate, ma l’influenza che Pechino esercita sulla società americana passa attraverso vari canali: l’ultimo rapporto compilato alla fine di novembre dal Center on Us-China Relations dell’Asia Society e della Hoover Institution, cita i legami con le corporation, i finanziamenti alle università e i media.
Nel passaggio dedicato ai media, l’espansione dell’influenza di Pechino appare ben riuscita, secondo le parole stesse degli studiosi. Nel panorama mediatico statunitense, si legge nel rapporto, la Cina “ha cooptato gli organi esistenti in lingua cinese e ha stabilito suoi nuovi organi.
La necessità di incidere sulla società americana
I gruppi statali dei media hanno anche preso significativamente piede sul mercato in lingua inglese, nella stampa, nella radio, nella televisione e on line”. L’operazione è in corso da tempo. Già nel 2011, l’agenzia Xinhua aveva fatto il proprio debutto a Times Square, e dal 23 luglio al 3 agosto 2016, dal display elettronico nel cuore di New York è stato trasmesso 120 volte al giorno un video di poco più di tre minuti di durata (tre minuti e dodici secondi, per l’esattezza) sulla sovranità di Pechino sul Mare Cinese Meridionale, negata sotto ogni aspetto, pochi giorni prima, dalla Corte Permanente di Arbitrato dell’Aia.
Il verdetto dei giudici dell’Aia è stato vissuto come uno schiaffo all’orgoglio nazionale dalla Cina, che rivendica praticamente l’intero Mare Cinese Meridionale come parte del proprio territorio nazionale: la massiccia operazione di propaganda, scriveva la stessa agenzia Xinhua, era stata organizzata per “chiarire la verità dietro la farsa del tribunale di arbitrato”, ed era corredata dal parere di esperti cinesi che hanno spiegato agli avventori della celebre piazza di Manhattan che la Cina “è stata la prima a scoprire, nominare, esplorare e sfruttare” il Mare Cinese Meridionale. (agi)