PARIGI (Francia) – “Tre anni dopo, dalla memoria alla lotta”: nel giorno delle commemorazioni dell’attentato contro la redazione di Charlie Hebdo – il 7 gennaio 2015, con 12 persone uccise sotto ai colpi dei kalashnikov dei fratelli Kouachi – circa 1.500 persone, tra cui i giornalisti superstiti del settimanale satirico, ieri si sono riunite ieri nel teatro delle Folies Bergère, nel cuore di Parigi, per lanciare un simbolico appello alla lotta contro ogni forma di “comunitarismo” etnico o religioso e in difesa dei principi fondamentali della République: Libertà, Eguaglianza e Fraternità, a cui in questo anniversario così particolare per la storia repubblicana è stata aggiunta anche la Laicità.
“Oggi più che mai non c’è democrazia senza laicità, senza il diritto di credere o di non credere”, ha detto il caporedattore di Charlie Hebdo, Gérard Biard, intervistato dall’Ansa a margine dell’evento a cui partecipavano, tra gli altri, il presidente dell’Assemblea Nazionale, Francois De Rugy, la sindaca di Parigi, Anne Hidalgo, l’ex premier ai tempi dell’attacco, Manuel Valls, e la filosofa Elisabeth Badinter.
Il presidente Emmanuel Macron, accompagnato dalla moglie Brigitte, ha invece partecipato alle commemorazioni di Stato, questa mattina alle 11, in Rue Nicolas Appert, sede dell’allora redazione del giornale decimato dai jihadisti, poi sul boulevard Richard-Lenoir per ricordare il poliziotto in bicicletta ucciso Ahmed Merabet e, infine, alle 12, all’Hyper Cacher della Porte de Vincennes.
Riprendendo la copertina dell’ultimo numero speciale di Charlie, Biard è tornato a chiedersi se sia normale che ancora oggi in Francia un giornale come il suo sia costretto a vivere in un “bunker” sotto protezione con costi annuali per la sicurezza di 1-1,5 milioni di euro all’anno: «In queste condizioni possiamo realmente parlare di libertà d’espressione? Un giorno ci sarà forse il rischio di dover chiudere definitivamente».
Dal palco delle Folies Bergère, il caporedattore ha poi messo in guardia chi accusa il giornale di “essere irresponsabile e gettare benzina sul fuoco” o anche quelli che invocano “il buon gusto o i limiti della satira”.
Tutte tesi che per lui sono un primo pericoloso passo verso la censura o l’autocensura. «Potete non amarci ed è legittimo che sia così, c’è sempre il diritto di contestare a parole un’opinione. Invece non c’è il diritto di minacciarci o spararci addosso», ha concluso.
Nella lunga giornata di dibattito, che si chiuderà questa sera con un concerto, i partecipanti hanno rievocato lo spirito dell’11 gennaio, quando milioni di persone scesero in piazza in Francia e nel mondo per gridare “Je suis Charlie” e si sono chiesti cosa rimanga oggi di quello slogan, cosa significhi essere, appunto, “Charlie” nella vita di tutti i giorni. Una parte è stata anche dedicata a ciò che è cambiato nel mondo dei media da quel brutale attacco, con gli interventi di popolari giornalisti come Ruth Elkrief o Anne Sinclair.
L’evento, a cui hanno partecipato anche le Femen (“Noi siamo Charlie tutti i giorni”, ha detto Rose, una di loro, ieri davanti all’Eliseo per protestare contro la visita del presidente turco Recep Tayyip Erdogan), è stato organizzato con la partecipazione di diverse associazioni come Licra e Printemps Républicain. (ansa)
Il 7 gennaio 2015 la strage nella sede del giornale a Parigi, che oggi piange e lotta