Claudio Fava contro colleghi e “Governo che agisce come un uomo solo al comando”

“C’è un giornalismo colluso e talvolta complice”

Claudio Fava

Claudio Fava, vicepresidente della Commissione Antimafia

ROMA – Il problema della lotta alle mafie è che “non c’è sempre una sinergia. Il Governo agisce come un uomo solo al comando, e sbaglia”. Parola di Claudio Fava, classe ’57, vicepresidente della Commissione parlamentare antimafia, giornalista, scrittore, sceneggiatore, figlio del giornalista, drammaturgo, sceneggiatore e saggista Giuseppe Fava che fu ucciso nel 1984 da Cosa Nostra.
“Sbaglia – chiarisce Fava parlando con l’Ansa – non solo perchè il Parlamento deve rivendicare una propria funzione, ma perchè la Commissione Antimafia è in condizioni di poter dare un contributo alto e significativo”.
“Ci sono state in questo ultimo anno e mezzo – ragiona Fava – tre Commissioni tra Palazzo Chigi e ministero della Giustizia, tutte chiamate a fare proposte sugli stessi temi; ovviamente, poi, ci sono anche Governo ed il Parlamento che intervengono. Così lo stesso argomento viene spesso visto da quattro o cinque punti di vista diversi, e c’è spesso una sovrapposizione ed un dispendio di energie, senza una vera capacità di sintesi che tenga conto della qualità del contributo che la Commissione Antimafia può portare”.
“In questo senso – osserva Fava – il Governo si pone come un uomo solo al comando. E’ come se dicesse: noi andiamo avanti, incarichiamo la nostra Commissione, mentre in realtà ci sarebbe già una ricchezza di elementi raccolti, di conoscenze, testimonianze e spunti in seno alla Commissione Antimafia: mancano le sinapsi, i nessi, e questo non ha nulla a che fare con la politica o le correnti ma con il lavoro. Le sinapsi sono fondamentali: bisogna condividere il lavoro di tanti, evitando che su molti temi ci siano diversi e a volte non coincidenti punti di vista che poi rischiano di non far arrivare mai ad una sintesi”.
Fava, che è coordinatore dell’VIII Comitato mafia, giornalisti e mondo dell’informazione, ha ascoltato in questi mesi, con i colleghi deputati e senatori, una trentina di giornalisti vittime di violenze o intimidazioni.
“Abbiamo una conferma – spiega – sul fatto che le mafie oggi hanno bisogno di consenso e questo passa anche attraverso la capacità di intimidire o condizionare la stampa. Stiamo cercando di capire quale è la capacità di intimidazione nei confronti dei giornalisti e in quali forme si manifesta: l’intimidazione può passare infatti non solo attraverso la violenza ma anche evocando la violenza, usando elementi di diritto o economici”.
“La solitudine geografica o professionale poi, aggrava la situazione: abbiamo 2 mila casi censiti da Ossigeno per l’informazione che comprendono giornalisti che vivono in periferia in condizioni di precarietà, dove all’aggressione fisica si aggiunge anche la solitudine professionale o di si chi non sa economicamente come difendersi”.
Sul piano geografico questi fenomeni, fa notare Fava, si sono aggravati “perchè si sono estesi: non c’è regione in cui non ci sia l’attenzione delle mafie sui giornalisti”. L’altro lavoro che sta portando avanti la Commissione Antimafia riguarda il modo in cui le mafie sono riuscite a condizionare la capacità di benevolenza del giornalista: “C’è un giornalismo colluso, reticente, silenzioso, talvolta complice. Alcuni direttori di giornali hanno scelto la via della prudenza”.
Per Fava è giusto che la Commissione Antimafia non stia trascurando nessun argomento, nessuna inchiesta: “Cè un problema geografico: l’attenzione richiesta un tempo in Sicilia, poi anche in Calabria e Campania, ora serve in tutta Italia” e ci sono nuovi fenomeni mafiosi. Ma soprattutto ritiene che bisogna concentrare l’attenzione sul tema della sicurezza dei magistrati di Palermo e Trapani legata sia a ciò su cui stanno lavorando, ovvero la confisca dei beni attorno ai capimafia, ma anche a quel che avvenne 20 anni fa, e quel che questa ricostruzione riproduce nel Paese: “Sono temi di forte sensibilità anche da parte della mafia”.
“Le minacce e la loro qualità – dice il vicepresidente dell’Antimafia – fanno pensare che non abbiamo a che fare solo con una mafia che spara ma anche che gestisce e comanda. C’è forse anche un pezzo delle istituzioni che si è reso disponibile e permeabile. Questo va affrontato con gli strumenti che ha la Commissione, che da una parte ha poteri giudiziari, dall’altra ha una responsabilità politica: va tradotto in vigilanza, denunce e proposte sul piano normativo”.
Infine, l’altra grande urgenza è quella dei beni confiscati, “su cui c’è una grande lentezza della burocrazia statale e una lettura del Governo legata alla gestione e non alla valorizzazione”. (Ansa)

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