Pier Paolo Cervone riabilita il generale “anti Badoglio” della Grande Guerra

Caviglia, il generale dimenticato dalla storia

Pier Paolo Cervone (foto Giornalisti Italia)

BORGOSESIA (Vercelli) – Quasi in concomitanza con la conclusione della prima guerra mondiale (4 novembre), il giornalista Pier Paolo Cervone, ospite del Rotary Club Valsesia, ha rievocato l’ultimo anno del conflitto: dalla sconfitta di Caporetto alla riscossa di Vittorio Veneto.
Una carrellata nella storia richiamando, prima, il sacrificio dei soldati, il loro cedimento morale (poi) e (infine) il ritorno convinto alla lotta per difendere Patria e confini. Accanto, la dabbenaggine dei generali sempre troppo ancorati a concezioni tattiche superate e poco disposti a imparare dai loro stessi errori.
Se un’eccezione c’è, quella si chiama Enrico Caviglia, comandante divisionale della seconda armata, artefice di un ripiegamento ordinato dei suoi corpi fino al Piave e stratega dell’ultima offensiva nelle settimane di ottobre e di novembre.
Che l’elogio di Caviglia venga da Cervone è spiegabile con il fatto che entrambi sono di Finale Ligure, in provincia di Savona. Caviglia se ne è allontanato subito per frequentare l’accademia militare. Cervone, corrispondente dalla sua città per il Secolo XIX, è arrivato a Torino per diventare giornalista professionista e responsabile delle edizioni liguri de La Stampa. A maggio, in occasione delle elezioni amministrative, sarà candidato con un raggruppamento indipendente per concorrere alla carica di sindaco: “Lista Cervone”.
“Caviglia – il suo giudizio – è poco considerato dalla storiografia ufficiale e dall’opinione pubblica. Ingiustamente. Il suo rimanere in un cono d’ombra è spiegabile con il fatto di essere stato troppo poco fascista al tempo di Mussolini e, quindi, non assolutamente affidabile. Ma, contemporaneamente, non riconosciuto come antifascista e, perciò, non rivalutato convenientemente con l’avvento della Repubblica”.
Cervone, per l’editrice Mursia, ha pubblicato due biografie del generale e, appassionandosi alla guerra mondiale, una serie di saggi per “l’Italia che comincia a combattere”, sui “Signori della grande guerra”, sul “Ritorno a Caporetto” e – il più recente – “L’ultima battaglia”.
“Spesso – rileva Cervone – anche storici abbastanza autorevoli accreditano l’ipotesi che Vittorio Veneto non sia stato un autentico combattimento guerreggiato ma una specie di rincorsa al nemico in fuga del quale abbiamo disordinato la ritirata. Errore. Si è sparato. Gli austriaci si sono difesi e per alcuni giorni in quelle due settimane hanno resistito con furore. Alla fine l’esercito italiano ha dilagato. Non riconoscerne il valore è un atto di inutile autolesionismo”.
Semmai occorrerebbe un atto di generosità nei confronti dei soldati fatti fucilare dai generali qualche volta per futili motivi e qualche altra volta del tutto ingiustamente. Precisa Cervone: “Occorre ricordarsi dei reparti che sono stati sottoposti alla decimazione. Serve un pensiero per i prigionieri abbandonati nei campi senza assistenza perché considerati traditori. E sarebbe utile un ripensamento anche nei confronti dei disertori veri perché nessuno è in grado di valutare il livello di stress, dopo mesi passati un buco per terra, fra topi vivi e topi morti”.
Inglesi e francesi, persino austriaci e tedeschi hanno eretto un monumento a queste vittime della guerra. In Italia era stata presentata una legge per riabilitare i soldati puniti dalla legge marziale. La Camera aveva approvato l’articolato e l’iter era proseguito mandando il fascicolo al senato. Dove, però, si è arenato e, con la fine della legislatura, annullato. Occorrerebbe ricominciare daccapo ma, centenario esaurito, a chi interessa? (giornalistitalia.it)

 

 

 

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