ROMA – La 6ª sezione penale della Corte di Cassazione (presidente Pierluigi Di Stefano, relatore Pietro Silvestri), con sentenza del 1° marzo 2023 n. 8956, ha affermato che integra il reato di esercizio abusivo della professione, previsto dall’art. 348 del codice penale, la condotta di chi, senza essere iscritto all’Albo dei giornalisti (elenco professionisti o pubblicisti) eserciti, in maniera continuativa, organizzata e onerosa, attività di specifica competenza della professione giornalistica, partecipando a conferenze stampa, effettuando interviste, curando servizi di cronaca per una testata televisiva e commentando confronti politici.
Il 61enne fiorentino Maurizio Bargiacchi è stato, così, condannato dalla Suprema Corte per esercizio abusivo della professione giornalistica, nonché a risarcire l’Ordine dei giornalisti delle Marche costituitosi parte civile.
La decisione dei supremi giudici, che ha ritenuto inammissibile il ricorso di Bargiacchi confermando la sentenza della Corte di appello di Ancona, è di notevole rilievo e fungerà certamente da stimolo per tutti gli Ordini regionali a vigilare affinché venga sempre rispettata la legge che vieta a chiunque di assumere il titolo e di esercitare la professione di giornalista, se non è iscritto nell’elenco dei professionisti, ovvero in quello dei pubblicisti dell’Albo istituito presso l’Ordine regionale territorialmente competente.
L’art. 348 del codice penale dispone testualmente che: «Chiunque abusivamente esercita una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni con la multa da euro 10.000 a euro 50.000.
La condanna comporta la pubblicazione della sentenza e la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e, nel caso in cui il soggetto che ha commesso il reato eserciti regolarmente una professione o attività, la trasmissione della sentenza medesima al competente Ordine, Albo o registro ai fini dell’applicazione dell’interdizione da uno a tre anni dalla professione o attività regolarmente esercitata.
Si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 15.000 a euro 75.000 nei confronti del professionista che ha determinato altri a commettere il reato di cui al primo comma ovvero ha diretto l’attività delle persone che sono concorse nel reato medesimo». (giornalistitalia.it)
Pierluigi Roesler Franz
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