È una sentenza esaltante, per noi giornalisti calabresi, quella che ha riconosciuto l’illegittimità del licenziamento della collega Rossana Caccavo, privata del suo lavoro a Esperia TV dopo essere stata eletta rappresentante sindacale. Segna un argine concreto a un malcostume purtroppo diffuso tra gli editori calabresi che si permettono inaccettabili provvedimenti in spregio alla dignità umana e professionale dei giornalisti, oltre che in palese violazione della legge.
Per la seconda volta a distanza ravvicinata, quest’anno, dopo la sentenza relativa all’ingiusto licenziamento di Iole Perito dal Cosenza Calcio, grazie alla paziente e costante azione del Sindacato Giornalisti della Calabria e all’impegno personale del segretario e del vicesegretario nazionale Fnsi, Franco Siddi e Carlo Parisi, si è riusciti a ottenere una reazione forte da parte della magistratura. Ed è un segnale importante perché se chi detiene la proprietà dei mezzi di comunicazione in Calabria continua a manifestare atteggiamenti da “padroni delle ferriere” d’ottocentesca memoria e usa minacciare il personale giornalistico agitando lo spauracchio della perdita del posto di lavoro (già di solito scarsamente retribuito) è anche perché si è sviluppata una sorta di convincimento dell’impunità.
Troppo a lungo, gli appelli pubblici del sindacato, dei cdr e dei fiduciari di testata sono rimasti ignorati, a volte le azioni legali intraprese a tutela dei lavoratori non sono andate a buon fine, altre il silenzio e l’omertà sono prevalse all’interno delle singole redazioni perché le proprietà sono riuscite a esercitarte la loro pressione ricattatoria ottenendo l’avallo a decisioni inaccettabili, se non del tutto illegali.
Il caso Caccavo o il caso Perito mostrano che invece alzare la testa, denunciare il sopruso subìto porta a dei frutti e di certo salva la propria dignità, perché se si tace per cercare di proteggere la propria (magra) busta paga, magari rifiutandosi di spalleggiare il collega direttamente “punito” o di attivare il sindacato, si uccide così la propria autostima, senza contare che più si permette ai padroni “no limit” di spadroneggiare, più questi continuano a colpire in modo indiscriminato e imprevedibile.
Nel passato dell’Ora della Calabria (già Calabria Ora) ci sono casi emblematici e inquietanti da questo punto di vista. Un collega del cdr fu addirittura privato del contratto da praticante dopo la sua elezione, senza contare i tanti “epurati”, licenziati senza giusta causa per atteggiamenti non proni verso la proprietà, o i puniti che hanno subito decurtazioni di stipendio e modifiche contrattuali varie, tutto passato in un surreale silenzio “interno” dovuto da un lato alla paura, dall’altro all’incapacità totale o alla mancanza di volontà da parte chi dirigeva la testata, d’impedire simili misure. Ma proprio il tacere, persino nei confronti del Sindacato Giornalisti, aggravava la situazione.
Io credo che questo passato abbia seriamente minato la storia più recente dell’Ora. Ricordo che le nostre pubblicazioni sono state sospese e il nostro sito oscurato (in modo del tutto illegittimo) dopo che la redazione aveva indetto uno sciopero per protestare contro le oscure manovre con cui si cercava di far passare durante una liquidazione ancora più oscura la proprietà della testata a Umberto De Rose, lo stesso stampatore che oggi è indagato-imputato per violenza privata, a causa del fittizio blocco della rotativa nella notte dell’Oragate.
Da allora abbiamo subito atti incredibili, probabilmente dovuti proprio a certe vecchie sicurezze a torto acquisite circa l’impunità: dalle ferie forzate anche per chi non le aveva maturate (vedi il sottoscritto mai informato previamente di alcuna decisione da parte del liquidatore Giuseppe Bilotta e addirittura insultato dallo stesso con una e-mail diffusa a tutti i colleghi), al rifiuto ostinato di fornire le documentazioni da noi richieste per esempio sulle entrate e sulle uscite realizzate negli ultimi mesi.
Il giorno dopo in cui avevamo deciso la fine dell’occupazione, è stata cambiata la serratura della redazione centrale senza alcun preavviso, impendendoci di visionare il nostro computer, di prelevare i nostri effetti personali, di raggiungere la nostra postazione mentre eravamo e siamo regolarmente assunti in un’azienda che incredibilmente è da circa quattro mesi in liquidazione, non paga i giornalisti da aprile (personalmente sono stato punito anche ricevendo l’ultimo stipendio dimezzato), non realizza introiti ma non va in fallimento.
Su quest’ultima vicenda della serratura abbiamo presentato un esposto. Il liquidatore ha spiegato al Cdr che era una decisione presa in persona dall’ex editore Alfredo Citrigno “per ragioni di sicurezza” (non si capisce a che titolo, non avendo più alcun ruolo per prendere decisioni relative all’azienda). Ora Bilotta, sempre più improbabile “Temporeggiatore”, cincischia nel fornire la documentazione che attesti l’inoltro della richiesta della nostra cassaintegrazione al ministero del lavoro e altrettanto sta facendo sui dati necessari per capire come e quando verremo retribuiti. Una strategia sua o sempre ispirata da decisioni altrui prive di titolo, eppure pervasive?
Nella sicumera che c’è dietro queste e altre performance che abbiamo subito, però qualcosa si è frapposto rispetto ai meccanismi del passato: ed è stata la rottura del silenzio, il coraggio di denunciare costantemente, rivolgendosi finalmente e apertamente alla Fnsi, ogni anomalia.
Il sindacato giornalisti, il Cdr, io stesso abbiamo puntualmente segnalato ogni irregolarità pubblicamente e al tavolo di trattative apertosi presso la Prefettura di Cosenza. Più volte Parisi ha lanciato pubblici appelli alla magistratura perché venga fatta chiarezza sugli aspetti più farseschi e inaccettabili della nostra liquidazione societaria e sui soprusi che sono stati perpetrati. Il cdr ha anche presentato un esposto alla Procura di Catanzaro, ma finora non c’è stata alcuna conseguenza.
Sarebbe invece importante e non solo per noi dell’Ora ma per tutti i colleghi calabresi che la magistratura si muovesse, indagasse sui tanti passi poco chiari e sui discutibili aspetti nella gestione della società che affondano radici lontane. Io non smetto di sperarlo, la mia redazione e io, con il sostegno continuo del sindacato, proseguiamo a portare avanti la nostra battaglia per la libera informazione e per la nostra dignità.
Luciano Regolo