ROMA – Sarà il gip Andrea Fanelli, in una camera di consiglio da fissare prima della pausa estiva, a decidere se accogliere o no la richiesta di archiviazione avanzata dalla procura di Roma dell’indagine sull’omicidio della giornalista Ilaria Alpi e dell’operatore tv Miran Hrovatin, assassinati a Mogadiscio il 20 marzo di 25 anni fa.
Il procuratore Giuseppe Pignatone e il pm Elisabetta Ceniccola (nel frattempo passata in Cassazione), la cui prima richiesta di archiviazione venne respinta nel giugno del 2018 dal gip che ordinò loro di fare nuove indagini, non hanno cambiato idea.
“Ancora una volta – ha scritto la procura nelle sue conclusioni – non si può fare a meno di constatare che si sono rivelati privi di consistenza quegli elementi che apparivano idonei, se non all’identificazione degli autori materiali ovvero dei mandanti dell’omicidio, almeno ad avvalorare la tesi più accreditata del movente che ha portato al gesto efferato o ad esplorare l’ipotesi del depistaggio”.
Il rischio che su questa vicenda giudiziaria cali definitivamente il silenzio è concreto. Per questa ragione le parti offese sono pronte a dare battaglia e a giocarsi il tutto per tutto nella speranza che il giudice si convinca che su questo duplice omicidio si possa ancora indagare.
Gli avvocati Carlo Palermo e Giovanni D’Amati, che tutelano gli interessi di Annamaria Riccardi, zia di Ilaria, hanno evidenziato nell’atto di opposizione alla richiesta di archiviazione che nuovi spunti investigativi possono scaturire da una serie di documenti, tra cui la sentenza di primo grado legata all’uccisione di Mauro Rostagno, il verbale relativo all’audizione del generale Mario Mori in Commissione parlamentare, la sentenza di Palermo sulla cosiddetta trattativa Stato-Mafia, gli appunti di lavoro lasciati dalla stessa giornalista Rai e gli atti desecretati da Governo e presidente della Camera nel 2014.
Per i due legali “dal dicembre 2007 al giugno 2017, sul caso della uccisione di Ilaria Alpi, risultano subentrate ben numerose nuove risultanze, riportate e commentate ovunque, ma – quasi incredibilmente – non esaminate dal pm. Ovvero sussistono numerosi e importanti altri fatti – anche limitandosi solo a quelli sfociati in esiti giudiziali – che, per le strette attinenze con i fatti per cui è processo, ben avrebbero dovuto, secondo questa difesa, essere esaminati da un organo requirente che si era, come noto, trovato di fronte a eccepite “secretazioni” di fonti, di nomi, di atti: atti, inoltre, che oggi appaiono ancor più rilevanti in considerazione della sola recente formulazione di imputazioni sui depistaggi (formulate dopo la intervenuta revisione del processo dalla Corte d’Appello di Perugia)”.
Anche le altri parti offese, (Fnsi, Ordine dei giornalisti e Usigrai), hanno chiesto al giudice di non far calare il sipario su questa drammatica storia.
Chi segue a distanza gli sviluppi della vicenda è Hashi Omar Hassan, il somalo che ha scontato da innocente, dopo un processo di revisione concluso a Perugia con un’assoluzione “per non avere commesso il fatto”, quasi 17 anni di carcere dei 26 definitivi inflittigli per il duplice omicidio.
La corte di appello umbra gli ha riservato un risarcimento di 3.181.500 euro, l’equivalente di 500 euro per ogni giorno (6.363 in tutto) di ingiusta detenzione. I soldi stanno cominciando ad arrivare, “a rate ovviamente, mica tutti assieme”, precisano i suoi avvocati.
“Vivo tra l’Italia, l’Olanda e la Svezia, posso contare sull’aiuto dei miei familiari e sulla solidarietà di tante persone. Ma in Somalia non intendo più tornare”, fa sapere Hassan, che fa il tifo perché la giustizia prevalga: “I genitori di Ilaria mi hanno sempre aiutato e hanno sostenuto la mia innocenza, fin dal primo giorno. La famiglia Alpi chiese da subito che venissi scarcerato, perché era convinta della mia innocenza, e mi è stata vicina fino all’assoluzione. È giusto che l’inchiesta non venga archiviata”. (agi)