MILANO – Nel 1974 una categoria forte economicamente, contrattualmente e politicamente decise, attraverso il suo sindacato unitario, di darsi un’assistenza sanitaria mentre nel paese si smontava il sistema delle mutue con la prospettiva di creare il Servizio sanitario nazionale. Quasi, quasi il mio contributo potrebbe concludersi qui. Il confronto tra le condizioni di partenza e quelle di oggi sui 40 anni di vita della Casagit mette una grande distanza tra quel 1974 e il 2014. Non sarebbe però giusto vedere in una storia bella come la nostra solo un tratto di matita che a un certo punto va dall’alto verso il basso e registra la discesa della solidità occupazionale di chi ha il compito di raccontare il Paese.
La nostra Cassa di assistenza ha fatto molto più che rendersi anno dopo anno un solido strumento di solidarietà: ha anticipato sensibilità soltanto oggi veramente attuali. Aver compreso tra i tutelati i famigliari, i genitori fiscalmente a carico o i conviventi dello stesso sesso, per fare qualche esempio, ha detto con fatti concreti come i giornalisti italiano abbiano raccolto sensibilità comuni facendole proprie. Non solo di parole è fatto il nostro lavoro.
La Casagit si è ampliata e trasformata grazie all’obbligatorietà fissata nel Contratto da parte della Federazione Nazionale della Stampa nel 1982. Una mossa lungimirante che ha dimostrato come la nostra categoria, spesso appassionata nell’esercizio dei “distinguo”, sui grandi temi sappia abbandonare distanze culturali, politiche e di sensibilità sindacale e lavorare unita.
La Casagit vive di grandi respiri ma anche delle risorse effettivamente disponibili. Nelle stagioni difficili è chiamata a rispondere a tre sfide: dare sostegno al reddito che perde potere d’acquisto, restare in piedi con minori contributi raccolti e far fronte a maggiori richieste di rimborso. Questo è quello che succede nell’oggi: 40 anni “dopo”.
In 3 anni la nostra Cassa ha perso 5 milioni di euro in contributi da lavoro contrattualizzato. Sono quelli più importanti per il sostegno dell’intera architettura se pensate che i “consumi” sono comunque legati a età e modalità di adesione.
I colleghi contrattualizzati e fortunatamente al lavoro, richiedono mediamente per le loro esigenze sanitarie il 54% del contributo versato, tra i volontari lo stesso rapporto sfiora il 96%, per i pensionati – che hanno sostenuto la Cassa per tutta la vita lavorativa – la richiesta di prestazioni rispetto al contributo versato supera il 180%. Fin qui nessuna malattia del sistema, semmai la naturale fisiologia delle stagioni della vita. Anzi. Questi numeri raccontano come solo con attraverso un forte legame di solidarietà vera ci si possa sostenere in un unico percorso davvero utile.
Negli ultimi anni, senza mai mettere in discussione i suoi fondamentali, la Casagit ha anche dovuto reggere gli arretramenti del Servizio Sanitario Nazionale. Siamo nati come Cassa di assistenza sanitaria integrativa, o almeno questo recita la nostra denominazione, oggi siamo per il 53% dei nostri rimborsi una cassa di assistenza “sostitutiva” del SSN. In pratica la maggior parte degli oltre 70 milioni di euro che eroghiamo ogni anno per rimborsi vanno a prestazioni sanitarie che la sanità pubblica dovrebbe sostenere in toto. La mappa della reale disponibilità di queste prestazioni cambia, regione per regione, ma proprio nelle città dove contiamo la maggior concentrazione di colleghe e colleghi spesso il loro raggiungimento diventa complicato.
Davanti abbiamo una strada in discesa e una in salita da percorrere entrambe, contemporaneamente. La crisi è del Paese, l’editoria si è limitata a non rappresentare una differenza, non ha saputo anticipare i tempi e ragionare sui cambiamenti imposti dall’evoluzione tecnologica e dalla crisi industriale.
Perché negli ultimi anni siamo riusciti a invertire una pericolosa tendenza verso bilanci negativi importanti? Non potendo intervenire sul potere d’acquisto del reddito, determinato dal mercato editoriale e da una pioggia di stati di crisi, non potendo agire sulla spesa sanitaria pubblica, colpita da tagli e riorganizzazioni che fanno rima con tagli, abbiamo lavorato per controllare meglio la “nostra” spesa.
In momenti difficili ogni amministrazione, anche quella di una semplice famiglia, indirizza le spese cercando di non trascurare le esigenze importanti. Le nostre esigenze importanti restano quelle di colleghe, colleghi e loro famigliari alle prese con una malattia o un’esigenza sanitaria. In pratica il capitolo principe tra quelli dove non lesinare.
Noi abbiamo cercato di indirizzare meglio la spesa puntando su convenzioni affidabili e aderenti ai nostri tariffari. Abbiamo moltiplicato i Poliambulatori convenzionati, congedato odontoiatri che non rispettavano le nostre regole o erano totalmente inutilizzati dai nostri assistiti. Cliniche di gran grido hanno gridato invano dopo la loro esclusione dalle nostre convenzioni.
In generale tutti gli accordi sono stati ripassati al pettine di una “revisione della spesa” che ha interessato tutti, anche “dentro” il nostro fortino.
Casagit ha ricordato i suoi 40 anni con una tavola rotonda dedicata a “Troppa sanità fa male”, tema sviluppato dal direttore dell’IRCCS Mario Negri prof. Silvio Garattini insieme ad altri medici, politici, l’Istat. Medici legali e lo stesso Ministro della Salute Beatrice Lorenzin. Non vogliamo certo dire che curarsi fa male, ma mettere l’accento su alcuni passaggi delicati del rapporto tra l’esigenza di una cura e la sua effettiva necessità certamente “sì”.
In Italia spendiamo una cifra stimata tra i 10 e i 13 miliardi di euro ogni anno in cure pressoché inutili. Medici che prescrivono generosamente farmaci superflui se non alla lunga addirittura dannosi (siamo con la Grecia in testa al consumo di antibiotici) o esami diagnostici necessari solo a difendere il medico stesso da una futuribile causa legale. E’ italiano il record europeo di Radiografie e Tac. Siamo più fotografati che curati. Aver messo un accento sul tema vuol dire conoscere dati interessanti per quelle riflessioni che guidano Consiglio d’amministrazione e Direzione generale fin da quando di anni non ne avevamo ancora 40 e non sapevamo se la nostra Casagit ci sarebbe arrivata e in buona salute.
Contare gli anni e spegnere candeline ovviamente non basta. Davanti a noi ci sono impegni concreti per i quali abbiamo lavorato seriamente. Altre categorie produttive cercano nell’esperienza della nostra Cassa la possibilità di organizzare tutele assistenziali per i loro iscritti. Altre popolazioni interessate a gestire una “loro” Cassa magari potendo accedere anche alla rete di poliambulatori già nel nostro perimetro.
La storia di ieri e di oggi, con i suoi alti e bassi, è una bella storia che ci ha portato fino qui. Ora più che mai dobbiamo camminare con le nostre gambe, affatto gracili, anche verso nuove direzioni.
La strada fatta ci ha fatto diventare un modello di assistenza. Ci siamo attrezzati per esportarlo, senza rischi per i nostri risparmi, per darci la speranza concreta di continuare a camminare per i giornalisti italiani.
Questa è la storia che vogliamo raccontarvi, con i fatti, nel 41esimo anno di vita della Casagit.
Il presidente Cerrato: “La strada fatta ci ha fatto diventare un modello di assistenza"