ROMA – A sentire il Renzi del Lingotto si dovrebbe mettere la sordina sul libero gioco della critica democratica, quando la giustizia si affaccia al Palazzo del potere. Secondo l’ex premier “i processi si fanno nei tribunali non sui giornali. Le condanne le emettono i giudici non i commentatori”. Vero, ma dietro il risvolto delle circostanze penali da appurare, e che comunque seguono la loro strada, non figurano altre responsabilità agli occhi dei cittadini che giustamente pretendono di diradare ombre e dubbi nell’interesse comune?
Da sempre in democrazia, spetta all’opinione pubblica, e quindi ai giornali, il controllo e il giudizio etico e politico sui comportamenti della classe dirigente, nonostante sia nel Dna dei potenti porre un freno alla libera informazione. Ogni volta che parte un’inchiesta giudiziaria, si tenta di provocare un giro di vite e di mischiare le carte in tavola (vedi l’ambiguo iter in Senato sul ddl della diffamazione che muta a seconda del clima del momento).
In tempi di trasparenza anche nel campo della giustizia, c’è addirittura chi vorrebbe stendere veli e silenzi sugli avvisi di garanzia e possibilmente reintrodurre il segreto istruttorio, che è stato abolito quasi 30 anni fa con la riforma del codice di procedura penale.
Romano Bartoloni
Segretario del Sindacato cronisti romani