Come si fa a mescolare la polemica su Cristina D’Avena con il giovane impiccato in Iran?

Caro Gramellini Il Caffè stavolta è pessimo

Cristina D’Avena e Massimo Gramellini

ROMA – Massimo Gramellini è un giornalista e dei colleghi non si dovrebbe mai scrivere mai. Questa è una delle regole auree del giornalismo. Almeno, quello di una volta, e solo perché ti ricordavano: “potrebbe accadere anche a te”.
Bene, detto questo, anche i colleghi possono scivolare, ed utilizzo un eufemismo, magari tentando di essere ironici, quando in realtà si ottiene l’esatto contrario.

Chiara Roverotto

Nella rubrica “Il Caffè” pubblicata il 16 dicembre nella prima pagina del Corriere della Sera e titolata “Fiocchi D’Avena”, il collega inizia parlando di Cristina D’Avena ospite della festa di Fratelli d’Italia organizzata a Roma. E da, lei, paladina dei diritti e delle campagne Lgbtqia+, non ci si aspettava proprio che salisse su quel palco con i Puffi, e questo – a dire di Gramellini – pare abbia sollevato indignazione. Quindi, magari ci interessiamo di più a lei rispetto a quanto sta accadendo in Europa «dove c’è chi si tuffa con voluttà nelle banconote degli emiri reazionari, ma che Cristina D’Avena possa passare impunemente dal GayPride a una ninnananna per La Russa è stato ritenuto intollerabile».
E fin qui la sagacia del collega ci può stare. Ma il resto è terribile, inconcepibile, offensivo. Scrive Gramellini: «La D’Avena ha detto giustamente che la musica unisce, include e conforta. Esprime una potenza universale che sommerge qualsiasi polemicuccia…». E “Il Caffè” finisce ricordando il ragazzo iraniano che prima di essere condannato a morte dai carnefici del regime ha detto «Non piangete e non pregate per me. Voglio che suoniate musica allegra».

Majidreza Rahnavard, il ventitreenne di Mashad impiccato il 12 dicembre

Ma come si fa a parlare di una tragedia in questo modo? È disdicevole, arrogante ed inumano. Quanto sta accadendo in Iran non dovrebbe trovare spazio nelle rubriche, ma dovrebbe occupare pagine di inchieste sui nostri quotidiani. Ricordiamo che sono giovani che vengono impiccati perchè non possono protestare. Perché le donne devono portare il velo. Perché vogliono vivere liberi, ascoltando quello che vogliono, dicendo quello che pensano e, invece, non è ancora possibile nel 2022.
Inviterei Gramellini ad andare in Iran per capire che cosa significa manifestare e lo inviterei anche a parlare con quei giovani, anche se temo sarebbe tempo perso. Meglio le rubriche in prima pagina (la maggior ben riuscite e lo dico convintamente), la posta del cuore e le comparsate televisive. Ma il giornalismo è altrove. Meglio ricordarlo, non me ne voglia il collega. E, soprattutto, quanto sta accadendo in Iran è troppo grande per essere storpiato in poche righe. Merita di più. Anche noi lettori e colleghi ci meritiamo di più. (giornalistitalia.it)

Chiara Roverotto

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