ROMA – Ormai anche le rubriche delle lettere al direttore – su quotidiani e periodici – sono vittime delle fake news e per questo la Cassazione ricorda che tocca ai “numeri uno” delle testate verificare l’identità di chi gli scrive e che quanto è narrato sia vero, e non realtà taroccata, prima di pubblicarlo. Senza questi controlli, il direttore che si accontenta di fare solo una telefonata per parlare con il “mittente” al recapito segnalato nella mail, incorre nella condanna per omesso controllo e paga i danni da diffamazione se la lettera pubblicata si rivela una pericolosa bufala.
Il caso affrontato è quello del direttore di un quotidiano pugliese, G.M., che in una delle edizioni locali del 19 maggio 2004 aveva pubblicato la lettera di un aspirante avvocato – spacciatosi per il figlio del vicedirettore di un noto settimanale – che raccontava di brogli durante il concorso per avvocato attribuendoli al presidente della Commissione.
In realtà l’autore della lettera – ricorda la sentenza – si era servito di false generalità e aveva “fraudolentemente utilizzato un nome noto al direttore del quotidiano dichiarando di essere il figlio di un famoso giornalista, suo amico, inducendolo così in errore sulla provenienza della lettera e sulla sua credibilità”.
Ad avviso della Suprema Corte, questi elementi non sono “rappresentativi dell’ottemperanza da parte dell’imputato, titolare di una posizione di garanzia, di aver compiuto quanto in suo potere per prevenire la diffusione della notizia diffamatoria, non aderente alla realtà, contenuta nella lettera”.
G. M. si era difeso dicendo di aver contattato il mittente al cellulare e di essersi fidato e di aver deciso di pubblicare la lettera “anche in ragione della difficoltà di fare immediate ulteriori verifiche attesa l’ora tarda e la prossima stampa del giornale”.
Il direttore aveva “modificato” la lettera nella parte “più offensiva” e poi aveva pubblicato la smentita.
Per gli “ermellini”, tutto ciò indica “come peraltro ammesso dallo stesso direttore” che “nessun serio controllo è stato effettuato sulla ‘fonte’ della notizia, essendosi l’imputato fidato della firma apposta in calce in relazione a quanto riferitogli dal falso interlocutore telefonico sul fatto di essere figlio di un suo amico giornalista come se tale dichiarata parentela fosse in sé sufficiente a dare esaustiva garanzia della effettiva identità dell’interlocutore e nel contempo della verità della notizia riportata nella lettera”.
«Sempre più frequentemente in alcuni quotidiani – osserva la Cassazione – viene dedicato un apposito spazio alla pubblicazione di lettere o scritti, provenienti da cittadini, intellettuali o opinionisti e tali contributi, inviati al Direttore del giornale, ricevono un vaglio diretto da parte di quest’ultimo, venendo pubblicati sotto il suo controllo diretto, ossia senza nessun filtro preventivo».
Pertanto – conclude il verdetto 8180 – è lo stesso direttore ad essere tenuto “alla verifica delle sue fonti informative e dei fatti narrati, dovendo offrire prova della cura posta negli accertamenti svolti per stabilire la veridicita’ dei fatti”.
In primo grado G.M. era stato assolto dal Tribunale di Lecce “perché il fatto non costituisce reato”, ma nel giugno 2016 la
Corte di Appello – condivisa dagli “ermellini” – lo aveva dichiarato responsabile agli effetti civili condannandolo al risarcimento del danno. (ansa)
La Cassazione: “Omesso controllo e diffamazione se le pubblica senza verifiche”