ROMA – Ma è davvero possibile che un pubblico ministero onorario del Tribunale di Lecce abbia chiesto una pena di 6 mesi di reclusione per tre giornalisti de ilfattoquotidiano.it, di La7 e del Tempo perché hanno riferito sulle rispettive testate di una causa di lavoro, quella promossa contro l’ex ministro Teresa Bellanova – peraltro ex sindacalista – dal suo ex addetto stampa?
Lo chiede, con un esposto urgente al vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, David Ermini, il giornalista Pierluigi Roesler Franz, consigliere nazionale della Figec Cisal (Federazione Italiana Giornalismo Editoria Comunicazione) e dell’Ordine dei giornalisti (ente pubblico vigilato dal Ministero della Giustizia).
Pierluigi Roesler Franz, già presidente del Sindacato Cronisti Romani e per 34 anni cronista giudiziario nelle redazioni romane del Corriere della Sera e de La Stampa, accreditato alla Corte dei Conti, alla Corte Suprema di Cassazione e alla Corte Costituzionale, denuncia infatti che, nei giorni scorsi, nelle pagine della Puglia anche online di vari quotidiani è stata pubblicata la notizia – non smentita da fonti ufficiali – che un pubblico ministero onorario del tribunale di Lecce (un cosiddetto Vpo) di cui non si è, però, fatto il nome, ha chiesto la pena di 6 mesi di reclusione per tre giornalisti de “Il Fatto Quotidiano” online, de La7 e de “Il Tempo” per aver riferito sulle rispettive testate della causa di lavoro promossa contro l’ex ministro Teresa Bellanova.
L’accusa per i tre cronisti (rispettivamente Mary Tota, Danilo Lupo e Francesca Pizzolante) era stata inizialmente di diffamazione e concorso in tentata estorsione, ma era stata poi circoscritta alla sola diffamazione. Il processo è arrivato ora alle conclusioni del pm onorario a ben 8 anni dall’inizio del procedimento, avviato dopo la querela dell’esponente ex del Pd e ora presidente di Italia Viva.
L’ex addetto stampa aveva citato in giudizio l’on. Bellanova (ex Sottosegretaria al Lavoro nel governo Renzi, poi ministro delle politiche agricole alimentari e forestali nel II governo Conte e da ultimo viceministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili nel governo Draghi) per vedersi riconoscere il giusto inquadramento contrattuale e la giusta retribuzione.
Il consigliere nazionale della Figec Cisal e dell’Ordine dei giornalisti ricorda che, su questa vicenda, di recente la Corte d’Appello di Lecce ha, però, dato ragione al lavoratore, accogliendo le sue richieste e condannando l’ex ministra Bellanova. Ciononostante, è andato ugualmente avanti il procedimento penale per diffamazione a mezzo stampa, nel quale è imputato anche l’ex addetto stampa e per il quale la richiesta del pm onorario è addirittura di un anno di reclusione.
Pierluigi Roesler Franz ricorda che, con la nota sentenza n. 150 del 2021, la Corte Costituzionale (Presidente Coraggio, relatore Viganò) ha dichiarato: «1) l’illegittimità costituzionale dell’art. 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa);
2) l’illegittimità costituzionale, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), dell’art. 30, comma 4, della legge 6 agosto 1990, n. 223 (Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato); 3) non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 595, terzo comma, del codice penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 21 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu), dal Tribunale ordinario di Salerno, sezione seconda penale, con l’ordinanza indicata in epigrafe; 4) non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 595, terzo comma, codice penale, sollevata, in riferimento all’art. 27, terzo comma, Cost., dal Tribunale di Salerno, sezione seconda penale, con l’ordinanza indicata in epigrafe; che in particolare le questioni esaminate dall’Alta Corte costituzionale erano state sollevate dai Tribunali di Salerno e di Bari sulla legittimità costituzionale della pena detentiva prevista per la diffamazione a mezzo stampa, per contrasto, tra l’altro, con l’articolo 21 della Costituzione e con l’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo».
Le questioni, spiega Roesler Franz, erano tornate all’esame della Corte un anno dopo l’ordinanza n. 132 del 2020 che sollecitava il legislatore a una complessiva riforma della materia, evidenziando che «la Corte, dopo aver preso atto del mancato intervento del legislatore, ha dichiarato incostituzionale l’articolo 13 della legge sulla stampa (n. 47 del 1948) che fa scattare obbligatoriamente, in caso di condanna per diffamazione a mezzo stampa compiuta mediante l’attribuzione di un fatto determinato, la reclusione da uno a sei anni insieme al pagamento di una multa; che era stato, invece, ritenuto compatibile con la Costituzione l’articolo 595, terzo comma, del Codice penale, che prevede, per le ordinarie ipotesi di diffamazione compiute a mezzo della stampa o di un’altra forma di pubblicità, la reclusione da sei mesi a tre anni oppure, in alternativa, il pagamento di una multa».
Quest’ultima norma consente, infatti, al giudice di sanzionare con la pena detentiva i soli casi di eccezionale gravità ove si determini una grave lesione di altri diritti fondamentali, come ad esempio in caso di discorsi di odio o di istigazione alla violenza.
Conclusivamente, la Corte Costituzionale aveva rivolto un appello al Parlamento avendo riscontrato che era rimasta attuale la necessità di un complessivo intervento del legislatore in grado di assicurare un più adeguato bilanciamento tra la libertà di manifestazione del pensiero e la tutela della reputazione individuale, anche alla luce dei pericoli sempre maggiori connessi all’evoluzione dei mezzi di comunicazione, già evidenziati nell’ordinanza n. 132 emessa dai giudici della Consulta nel 2020.
Nell’esposto al Csm, Pierluigi Roesler Franz sottolinea che «la notizia della richiesta del carcere da parte del Pm onorario nei confronti dei quattro giornalisti accusati di diffamazione ha suscitato notevole allarme e viva preoccupazione nella categoria, tanto che il 20 ottobre scorso è intervenuto il presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Bartoli.
Nel suo duro comunicato dal titolo “Ancora carcere per i giornalisti, ora basta! Pm chiede sei mesi di reclusione per tre giornalisti accusati di diffamazione a mezzo stampa”, si legge testualmente: “C’è da chiedersi in che Paese e in quale democrazia vogliamo vivere. Ancora una volta viene chiesta la pena del carcere per giornalisti che hanno semplicemente svolto il loro lavoro. Tra l’altro, nel caso in questione, i fatti erano acclarati. Abbiamo avuto la pronuncia della Corte Costituzionale e numerosi richiami dalle istituzioni europee per il permanere della pena detentiva per il reato di diffamazione a mezzo stampa. Troviamo quindi inaccettabile che, per una vicenda abbastanza chiara, come quella relativa al “caso” Bellanova, un magistrato chieda ben sei mesi di reclusione per i giornalisti. Auspichiamo che il nuovo Parlamento metta una volta per tutte la parola fine a questa aberrazione”».
Il consigliere nazionale Figec e Cnog, nella sua duplice qualità e a tutela dei diritti dei giornalisti, cronisti compresi, tenuti ad informare correttamente e compiutamente l’opinione pubblica in applicazione dell’art. 21 della Costituzione e dell’art. 10 della Cedu, segnala quindi l’accaduto al Consiglio Superiore della Magistratura «affinché nel più breve tempo possibile si faccia in via preliminare chiarezza e piena luce sulla realtà dei fatti e si accerti anche se il Pm onorario del tribunale di Lecce fosse effettivamente a conoscenza – oppure no – sia della sentenza della sezione lavoro della Corte d’Appello che ha accolto il ricorso dell’ex addetto stampa dell’ex ministra Bellanova, sia della sopracitata sentenza n. 150 del 2021 della Corte Costituzionale».
Pierluigi Roesler Franz chiede, inoltre, che «una volta accertato quanto sopra vengano eventualmente trasmessi gli atti per doverosa conoscenza e per quanto di loro possibile e rispettiva competenza al Procuratore Generale della Corte Suprema di Cassazione e al Ministro della Giustizia». (giornalistitalia.it)