ROMA – Marianna Madia ha perso la causa civile intentata contro i giornalisti del Fatto Quotidiano per gli articoli relativi alla sua tesi di dottorato. Il giudice del Tribunale di Roma, Damiana Colla, con una sentenza depositata nei giorni scorsi ha rigettato la richiesta della deputata, all’epoca dei fatti ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, nei confronti di Laura Margottini, Marco Travaglio, Stefano Feltri per alcuni articoli pubblicati sul quotidiano tra il marzo del 2017 ed il febbraio 2018 per i quali la parlamentare del Pd ravvisava «il carattere diffamatorio e lesivo della propria immagine, onore e reputazione».
Madia sosteneva, infatti, «la portata gravemente diffamatoria e lesiva nei suoi confronti degli articoli» e in particolare evidenziava «che i giornalisti hanno rappresentato circostanze del tutto false in ordine all’asserita copiatura (senza citazione delle fonti) di parte della sua tesi di dottorato in Economia del Lavoro con la quale aveva conseguito nel 2008 il titolo presso la Scuola Imt di Lucca ed alla sua mancata presenza presso l’università olandese di Tilburg per svolgere un esperimento riportato nella medesima tesi di laurea, tale da determinare la contestazione circa la paternità dell’esperimento stesso».
Di diversa opinione il giudice secondo il quale «i quattro articoli del periodo marzo/aprile 2017 in contestazione configurano la sussistenza, ad avviso del decidente, di tutte le condizioni citate per il pieno e legittimo esercizio da parte dei giornalisti del diritto di inchiesta, cronaca e critica, tutelati dall’art. 21 della Costituzione e posti a fondamento della libertà di stampa».
Scrive ancora il giudice: «lo studio effettuato dalla giornalista sulla tesi di laurea della Madia risulta accurato e la notizia resa con approfondimento e precisione».
A prescindere, quindi, dalla valutazione «circa la verità o meno della notizia riportata nel brano, che peraltro non spetta a questo giudice, quest’ultimo – si legge nella sentenza – appare chiara espressione di giornalismo di inchiesta, laddove peraltro risultano incontestate la continenza espositiva e l’interesse pubblico della notizia, evidentemente sussistenti nella specie».
«Non appaiono, dunque, condivisibili, in conclusione, le doglianze dell’attrice relative al preteso difetto di verità della notizia contenuta nei quattro articoli in contestazione, né invero assume rilevanza la documentazione dalla medesima prodotta unitamente all’atto introduttivo a sostegno della asserita falsità delle informazioni rese dai giornalisti convenuti, laddove – evidenzia il giudice – occorre tenere conto del fatto che i brani esaminati, in quanto frutto di inchiesta giornalistica, trovano la loro finalità proprio nella denuncia di sospetti di illeciti meritevoli di approfondimento, nella specie affatto calunniosi o meramente congetturali in base alle fonti indipendenti citate e consultate, ma piuttosto approfonditamente motivati ed argomentati sulla base di elementi obiettivi e rilevanti, portati a conoscenza della collettività dei lettori per stimolare un dibattito costruttivo su temi sociali di particolare rilievo e sollecitare una presa di coscienza collettiva, se del caso anche aprendo filoni di indagine da parte degli organi a ciò espressamente deputati, come effettivamente avvenuto nel corso dei mesi successivi alla loro pubblicazione, secondo la documentazione depositata da entrambe le parti». (adnkronos)
L’ex ministro perde la causa contro i giornalisti del Fatto: “Nessuna diffamazione”