PIZZO (Vibo Valentia) – Anche il Vibonese raccoglie la sfida: la libertà di stampa va difesa a tutti i costi da ogni tipo di condizionamento. Nella straordinaria e impareggiabile cornice del castello Murat di Pizzo un’altra tappa della mobilitazione dopo quelle – svolte con l’imprimatur della Fnsi, la Federazione nazionale della stampa – di Polistena e di Soverato. A organizzarla la Cisal, la Confederazione italiana sindacati lavoratori autonomi, che ha dato vita a un confronto a più voci tra addetti ai lavori, testimonianze di giornalisti “scomodi” al potere nelle sue variegate e perverse articolazioni ed esponenti del mondo politico, istituzionale e imprenditoriale.
Il confronto di Pizzo, moderato dal giornalista Giuseppe Sarlo che ne ha curato alla perfezione tutti i dettagli, è stato aperto dalla relazione del vicesegretario nazionale della Fnsi e segretario del sindacato regionale dei giornalisti Carlo Parisi, che ha fatto un’articolata analisi sulla difficile situazione in Calabria, alle prese con un’autentica emergenza democratica che si riflette anche sul mondo dell’informazione.
«La libertà di stampa – ha detto Parisi – è figlia anche della libertà di impresa, e in Calabria significa anche libertà dal bisogno, perché se un giornalista non è economicamente tutelato diventa meno libero e più ricattabile, per questo non si stancherò mai di ripetere che il giornalista deve dire no a proposte lavorative non retribuite. I valori da perseguire sono sempre il rispetto della dignità umana e professionale. E’ necessario riflettere su questi aspetti, soprattutto nei territori in cui ci sono iniziative editoriali in regime di monopolio. L’8 agosto scorso a Polistena la Fnsi si è fatta carico di aprire sale stampa in territori a rischio come Locride e Piana di Gioia Tauro, perché inn questa fase in cui si chiudono molte redazioni è importante avere punti di riferimento e luoghi di confronto che invertano il trend di un’informazione “seduta”, facilmente condizionabile da tutti i potentati».
Parisi ha poi ribadito un suo “punto fermo”, lanciando alle istituzioni e alle pubbliche amministrazioni l’ennesimo appello «affinché si metta fine al fenomeno delle chiamate dirette dei giornalisti, che finiscono per alimentare anche precariato e disoccupazione», affermando che tutti devono lavorare in Calabria «per realizzare meritocrazia e giustizia sociale, che sono le armi più potenti con cui combattere la ‘ndrangheta».
A fare gli onori di casa il sindaco di Pizzo Gianluca Callipo, che ha dichiarato l’intenzione di raccogliere l’appello-sollecitazione di Parisi «perché è necessaria una presa di coscienza di tutti, a partire dalla classe dirigente, per difendere la libertà di stampa, fondamentale per scardinare tutti i poteri che schiacciano la Calabria. Non si può più assistere a episodi vergognosi come quello che ha portato alla chiusura dell’”Ora della Calabria”, con quella bruttissima telefonata nella quale l’esponente di un’agenzia regionale parla in dialetto con toni e metodi che fanno capire come spesso un giornale viene percepito come puro strumento per mantenere potere».
A seguire, il momento sicuramente più “forte” del dibattito di Pizzo, con gli interventi di Luciano Regolo, direttore de “L’Ora della Calabria”, e di Michele Albanese, giornalista del “Quotidiano del Sud” e corrispondente Ansa per la Piana di Gioia Tauro, costretto a vivere sotto scorta dopo aver denunciato le infiltrazioni della ‘ndrangheta nella politica, nell’economia e persino nelle manifestazioni religiose.
Regolo ha ripercorso le note vicende dell’“Oragate”, dicendosi «rattristato nel aver trovato la mia terra in queste condizioni. Quando il giornale e il suo sito sono stati chiusi l’allora presidente della Regione Scopelliti non ha speso un parola davanti a una mostruosa violazione dei diritti dei giornalisti ma anche dei calabresi, difendendo invece De Rose e Gentile: questo è stato un fatto molto grave perché ci sono valori che non hanno colore politico. Prima della famosa telefonata del “cinghiale”, in base ai tabulati a disposizione della magistratura, ci sono state 20 telefonate tra De Rose e Gentile. Per l’“Oragate” la Procura di Cosenza ha chiesto il rinvio a giudizio di De Rose e l’archiviazione per il figlio del senatore Gentile: questo è triste, anche perché non ho ricevuto alcuna comunicazione e questo mi impedisce di fare opposizione».
Regolo ha poi confidato: «Sono stato sul punto di abbandonare, ma cosa avrei raccontato alla mia coscienza? Sono ancora qui anche se molti vorrebbero che vada via, ma non ho paura: stiamo lavorando con grande sacrificio e presto torneremo in edicola. Ed è il momento che la Calabria onesta non resti più in silenzio. Perché tacendo resteremo sempre una terra ferita e dimenticata, una terra di nessuno».
Altrettanto toccante la testimonianza di Albanese: «La mia vita è cambiata ma sto ricominciando a gustare la libertà, che è il bene più prezioso che abbiamo. E faccio un appello affinché tutti insieme possiamo costruire percorsi comuni, perché da soli non si vince contro la ‘ndrangheta, la politica lobbistica, l’economia lobbistica. Io non sono un eroe ma un giornalista che ha sempre cercato e cerca di fare il proprio lavoro con onestà e dignità. Spero che la mia vicenda alimenti la coscienza anche nella nostra categoria: la stragrande maggioranza dei colleghi avrebbe fatto come ne, anche se con rammarico devo registrare che c’è anche una parte del giornalismo e del mondo culturale calabrese che assume posizioni contrarie alla verità e pericolose».
Il tema della serata è stato poi analizzato anche dal presidente dei Giovani di Confindustria Calabria Mario Romano secondo il quale «la parola chiave è responsabilità. La responsabilità dell’informazione appartiene a tutti. Facendo sistema e lavorando tutti in rete possiamo innescare un virtuoso percorso di cambiamento. A mio avviso è difficile eliminare un vecchio sistema ma è più facile creare uno nuovo. Io amo dire: “non posso cambiare mio padre ma posso formare mio fifglio”. E’ questo l’obiettivo a cui dobbiamo tendere».
Inoltre, i saluti delle istituzioni, la prefettura di Vibo Valentia con il viceprefetto Sergio Raimondo in rappresentanza del prefetto Giovanni Bruno, impossibilitato a intervenire per impegni improrogabili: «Auspico – ha detto Raimondo – che da questa sera si possa guardare al bene che i giornalisti possono fare per le nostre comunità».
Le conclusioni sono state affidate a Franco Cavallaro, segretario generale della Cisal. «Può essere questo il momento del cambiamento», ha detto Cavallaro che poi ha lanciato una proposta-provocazione «per rendere libera l’informazione. E’ inutile negare che quando un imprenditore fonda un giornale ha sempre qualche interesse da curare, ma allora perché non facciamo tutti insieme rete creando delle cooperative? Io sono pronto a scommettere su una Calabria diversa».
Antonio Cantisani