LAMEZIA TERME (Catanzaro) – Anime forti in terra d’anime nere. Anime belle, certo. Se si tratta di volontariato è quello che t’aspetti. Ma non qui, nella Calabria offesa dallo Stato e vilipesa dall’Antistato. Il volontariato sarebbe poco, minimo sindacale della solidarietà. Ci vuole ben altro: tenacia almeno quanto amore dell’altro, coraggio perché sei solo e non sai chi ti osserva con occhiuta attenzione, ed anche cuore fermo, fortissimo, per non schiantarsi sulle prime difficoltà.
Ecco chi c’era a Lamezia Terme, nella sala del Municipio, a raccontare la propria esperienza di protagonista della ricerca scientifica, cacciatore di giovani da salvare dalle famiglie di ’ndrangheta, tutore di persone con disabilità, sempre e comunque di chi ultimo tende una mano nel deserto del welfare.
Erano lì, associazioni calabresi del cosiddetto terzo settore (punti di vista: terzo di che?) convocate nella tappa del viaggio organizzato dal magazine del Corriere della Sera “Buone Notizie” per mettere in luce l’Italia positiva, che non si arrende, si dà da fare e costruisce il suo pezzo di futuro. In edicola il numero monografico di “Buone Notizie” dedicato alla Calabria. Prima di Lamezia Terme, tappe a Palermo e Bologna: poi ci saranno Napoli, Bari, dopo l’estate le città del Nord.
L’incontro pubblico è stato condotto dal caporedattore di “Buone Notizie” Elisabetta Soglio insieme con l’inviata di cronaca del “Corriere della Sera” Giusi Fasano (calabrese, nativa di Sant’Agata D’Esaro). Hanno tirato fuori le motivazioni più profonde e l’entusiasmo ai protagonisti della serata: gli uomini e le donne che in Calabria hanno costruito e fanno camminare il faticoso carro del lavoro sociale.
Lo dimostrano ogni giorno: si può fare. Ecco Amalia Bruni, scienziata delle malattie neurodegenerative. Una donna minuta, una roccia: fa ricerca scientifica qui, perché qui c’è da studiare. Chiamata a testimoniare la sua esperienza, esprime l’auspicio di avere nelle istituzioni della sanità «persone lungimiranti, capaci, che conoscano i problemi, perché c’è un grande lavoro da fare».
Ecco Pino De Lucia, con la sua storia di ragazzo di Fondo Gesù, quartiere popolare assai critico a ridosso delle fabbriche negli anni ’70 a Crotone, che con tre coetanei fonda la cooperativa sociale Agorà: dall’aiuto ai tossicodipendenti, all’accoglienza dei migranti.
Parla don Giacomo Panizza, fondatore della Comunità Progetto Sud, prete operaio arrivato a Lamezia Terme 43 anni fa, che non si è mai scoraggiato nonostante il rosario di attentati e intimidazioni della ’ndrangheta. L’impresa sociale la racconta Santo Vazzano, che a Crotone nel suo Consorzio Jobel associa 11 ccoperative.
Il volontariato a Reggio Calabria si chiama Agape, fondata 50 anni fa da don Italo Calabrò. Oggi il presidente Mario Nasone testimonia un impegno cominciato con il sostegno ai 700 ricoverati dell’Ospedale psichiatrico di Reggio («per tirarli fuori, prima di tutti i bambini») e poi cresciuto fino alla sfida attuale per sottrarre i giovani alle famiglie di ’ndrangheta.
L’incontro di “Buone Notizie” finisce di essere racconto e diventa vita vera, con le asciutte parole di un uomo di 48 anni, uno di quelli salvati da un destino criminale già segnato per nascita: «Ero un ragazzino difficile. Sono stato arrestato a 16 anni. La mia era una famiglia di ’ndrangheta. In carcere ho sentito che dovevo cambiare vita dopo l’incontro con don Italo Calabrò. Una scelta con difficoltà. Ho chiesto di non uscire libero, per non tornare a casa. Dalla ’ndrangheta non si esce con una lettera di dimissioni. Ma oggi so che tanti ragazzi stanno venendo fuori dalla ’ndrangheta».
Mario Nasone spiega il lavoro di “Agape” nel Carcere minorile di Reggio Calabria, e ricorda l’impegno decisivo del presidente del Tribunale dei minori Roberto Di Bella: «Perché lo Stato non può rimanere neutrale, non può accettare che quei bambini abbiano la sorte segnata».
Dieci le realtà selezionate, dieci le testimonianze durante l’incontro, con esperienze caratterizzate da una forte cultura dell’inclusione: verso disabili, tossicodipendenti, migranti, donne in difficoltà, disoccupati. Tutto secondo un’innegabile funzione di supplenza alle carenze delle istituzioni, soprattutto in materia di sanità.
«Non siamo grandi leader – ricorda don Giacomo Panizza – siamo persone consapevoli dei tanti ostacoli nella politica locale, ma anche nelle famiglie».
È quello che il rettore dell’Università della Calabria Gino Mirocle Crisci declina con la semplicità dell’evidenza: «Perché i calabresi in Calabria non funzionano, e fuori dalla Calabria fanno cose egregie? Per il contesto, che è diverso».
Il contesto, dunque, con il suo peso determinante nella vita di ciascuno. Che vuol dire? Significa che non è una banale questione di fondi ministeriali o europei. Ci vuole tanto di più. Il rettore Crisci cita le parole di un ergastolano iscritto all’università, che si è laureato all’Unical: «Io non sono diventato assassino per fame, ma per ignoranza». (giornalistitalia.it)