ROMA – Ieri notte l’albero di Fabrizia, donato dalla Provincia di Catanzaro alla Santa Sede, coi suoi addobbi natalizi, svettava in Piazza San Pietro, con una sua magia tutta particolare. Un simbolo di festa, certo, ma anche di riscossa per una terra come la Calabria, carica di fardelli, affossata purtroppo pure dal pessimismo e dalla rassegnazione diffusi.
Complice la nuova, illuminazione del cupolone e della facciata della basilica, più morbida e più calda, accesa per la prima volta, in contemporanea al “nostro” albero e alle luci del presepe donato dalla città di Verona, quella pianta robusta, alta oltre 25 metri, era lì a rammentare che c’è tutta un’altra Calabria: bella, operosa, volitiva, di fede e tradizioni sentite, forte contro ogni aspettativa. Forse finora non ha avuto voce in capitolo, è stata soffocata dai sistemi malati, dalle infitltrazioni e dai soprusi mafiosi, dalle illegalità frutto di biechi interessi personali diffusi trasversalmente tra tutti gli schieramenti politici, ma ha tutte le potenzialità e le risorse per scuotersi e costruire un futuro diverso, imprevedibile. Come quest’albero di Fabrizia: avrebbe dovuto essere abbattuto, comunque, per consentire il rimboscamento della zona in cui si trovava, poiché tutte le piante intorno erano morte e secche. Ma, estirpate le sue possenti radici dal suolo, non è finito nell’oblio, è entrato nella storia di una giornata indimenticabile, è diventato l’auspicio di tutta una comunità che vuole, finalmente, essere conosciuta nel mondo per qualcosa di positivo. Coi fatti, però, non con le chiacchiere o le bugie.
Ieri ero anche io nella Sala Clementina, quando papa Francesco ha ricevuto la delegazione catanzarese. Mi hanno colpito le parole coraggiose di monsignor Vincenzo Bertolone, l’arcivescovo di Catanzaro che, con voce commossa, si è rivolto al pontefice e, dopo aver ricordato i tanti mali che attanagliano la Calabria, lo ha ringraziato per aver donato a tutti, credenti e non, quel bellissimo monito “a non lasciarci rubare la speranza”, da nulla e da nessuno: pare fatto apposta per costituire il motto di una regione che vuole cambiare.
L’albero, ha fatto notare Bertolone, evoca istintivamente il Cristo, non solo per i riferimenti biblici al germoglio di Iesse fiorito dalla pianta di vita, per il legno della croce mezzo del suo sacrificio d’amore verso l’umanità, o per quello della mangiatoia in cui fu deposto alla nascita, tra i poveri e gli umili nella sola immensità dello spirito, ma anche per la generosità naturale, con cui l’albero nutre, riscalda, sostiene una serie di nostre azioni quotidiane.
Trascorso il periodo natalizio, l’abete di Fabrizia si trasformerà in mobili per le famiglie bisognose, donato in beneficenza come tutti i presenti che papa Francesco ha ricevuto in questo Natale. Staccata dalla terra, dunque, la pianta calabrese continuerà a dare. A dispiegare la sua forza.
Toccanti le semplici parole di Bergoglio sull’albero e il presepe simboli di unità e armonia familiari anche per chi non crede. Il papa si è stretto al petto il piccolo Andrea Bressi, di tre anni e mezzo, che dopo, nel pomeriggio, insieme a un altro bambino, Alessandro Battaglia, ha premuto il pulsante dell’illuminazione dell’albero di Natale in piazza San Pietro. Andrea, dopo quest’abbraccio, per nulla frastornato, raccontava ai suoi che il papa è “tranquillo e contento”. È proprio questa serenità del pontefice, subito fiutata dal bimbo vivace, a spronare le persone e le comunità che ogni giorno affrontano situazioni difficili. È una gioia che viene dall’intimo, dalla fede più autentica, quella del “Nada te turbe” di Santa Teresa d’Avila: “Nienti ti turbi, niente ti spaventi, a chi ha Dio nel cuore, nulla manca”.
Enzo Bruno, il presidente della Provincia di Catanzaro, ha chiesto a Bergoglio supporto e preghiere non solo per il territorio del Capoluogo, ma per tutta la Calabria. Con coraggio, nella piazza gremita, ha parlato della necessità di estirpare la ’ndrangheta e le sue collusioni col potere una volta per sempre, sfidando il dabbenismo, non sempre innocente, di chi si trincera dietro le logiche della comunicazione che suggerirebbero di non parlare di certe cose per trasmettere l’immagine di una regione diversa. Ma la Calabria buona e positiva, come giustamente ha ricordato Bruno, c’è sempre stata, anche se umiliata, offuscata e a volte schiacciata da quella marcia.
Il presidente della provincia ha ripercorso la parabola plurisecolare che ne è prova: dal legname silano che servì per la prima fabbrica della Basilica di San Pietro, come documentano carte appena ritrovate negli archivi catanzaresi, ai ragazzi dell’alberghiero di Soverato che, ieri sera, hanno preparato e servito l’ottimo buffet in Vaticano, nell’aula Paolo VI, anche loro espressione vivente di una Calabria diversa. Come pure il Coro Polifonico di Serrastretta che ha allietato con le sue performance la cerimonia nella piazza petrina.
Coi fatti, non certo con l’omertà, coi propositi fermi e il piglio di una volontà sincera potranno cambiare le cose. Ci vorrebbero più giornate come quella di ieri, per noi calabresi stessi, per permetterci di riconquistare la voce che ci è stata tolta da anni di politica corrotta e lontana dai bisogni reali della gente, ma anche per chi ci guarda dall’esterno e può scoprire l’altra anima, la sola anima della nostra terra.
La Calabria può (e deve) contare sulla forza e sulla combattività del suo dna, ma anche su una spiritualità non indifferente. Bruno ha ringraziato Bergoglio per la canonizzazione, nella stessa piazza san Pietro, di San Nicola Saggio, il settecentesco frate minore, emulo di Francesco da Paola, che risvegliò tanti cuori con la sua carità senza condizioni né eccezioni.
Don Enzo Gabrieli, oggi postulatore della causa di beatificazione di Natuzza Evolo, il quale ha curato i rapporti tra la curia cosentina e la Santa Sede per la canonizzazione di San Nicola Saggio, mi ha raccontato che l’umile frate, convocato una volta dal papa, come accadeva spesso, per consigli e conforto spirituale, essendosi trattenuto più a lungo del previsto il pontefice lontano dal Quirinale dove lui lo attendeva, se ne andò via per non infrangere i suoi doveri di preghiera e assistenza del prossimo in quella giornata. I cardinali più supponenti ne criticarono la scelta, quasi fosse una atto borioso. Invece il papa ne colse la lezione di umiltà: nessun potere né alcuna lusinga di questa terra possono farci mettere da parte la legge di Dio. Una lezione che i governanti di ogni regione, ancor più la nostra, dovrebbero tenere presente.
Nicola da Longobardi è diventato santo lo scorso 23 novembre, proprio il giorno in cui è stato eletto Mario Oliverio presidente della Giunta Regionale della Calabria. Anche il nuovo presidente, ieri, era in Vaticano, con la delegazione “dell’albero”. E si è aperto con Bergoglio: «Mi aspetta un compito non semplice, Santità, preghi per la nostra regione e per le responsabilità che mi attendono». Anche Oliverio, senza facili diplomazie, ha parlato delle logiche malate e stagnanti da spezzare, ringraziando il papa del forte monito lanciato in Calabria, nella sua visita a Cassano allo Ionio, il 21 giugno di quest’anno. Sembra sincero e consapevole, il nuovo presidente, pronto a staccarsi da accorduni, silenzi e occhi chiusi che hanno condotto un’intera regione sull’orlo dell’abisso, a standard di qualità della vita infimi in tutta la Comunità Europea.
Speriamo che i “giganti di sale” della politica nostrana non lo ostacolino nei suoi propositi, non ne pieghino la fermezza a non voler cedere alle trite logiche delle nomine “feudali”, in alcun modo dettate dalle competenze e dalla qualità degli interventi di cui abbiamo bisogno. Proprio i tributi pagati per il sostegno politico, con questa o quella designazione, in passato hanno provocato disastri stratificatisi negli anni, oltre da aver sdoganato il lato più eticamente scorretto del trasversalismo. Purtroppo con riflessi dolorosi persino nell’editoria locale, come ho imparato a scoprire in quest’anno di durissimo lavoro in Calabria.
La Chiesa, la religiosità sincera, possono fare molto per la rinascita, costituire un collante coriaceo, inscalfibile in quella serenità dei giusti indicataci dalle verità evangeliche. Da questo punto di vista, la benedizione di Bergoglio, ieri sembrava assumere un significato ancora più intenso. Cadere, vibrante e rinvigorente, nel cuore di tutti i calabresi presenti e di quelli, numerosi, che hanno seguito l’evento a distanza, in tv e on line.
Possa davvero l’albero di Fabrizia illuminare un domani diverso per noi tutti, trasmettere, come ha detto il cardinale Angelo Comastri, vicario generale del papa, un raggio di luminosa gioia in tutte le famiglie sofferenti. In Calabria ce ne sono parecchie, ma guardando alla nostra storia possono ritrovare la speranza e il sorriso.
Il mio pensiero, alla preghiera finale del papa, è andato soprattutto alla famiglia del mio giovane e caro collega, Gigi Chiappetta, che ha perso nei giorni scorsi il papà Totonno, celebre attore cosentino. Io l’avevo conosciuto durante l’occupazione della nostra redazione a Rende, lo scorso maggio. Era venuto a darci manforte a modo suo. Mi disse che la nostra sfida gli piaceva. Lui ne aveva condotte tante, non tutte vittoriose, ma sempre in grado di accendere emozioni che restano. L’ultima l’ha portato a un’imprevista uscita di scena, ma non nell’affetto dei tanti che ha fatto sorridere. E gli ha dato una luminosa risposta d’amore ultraterreno, di cui abbiamo parlato con Gigi. Ma questa è giusto rimanga un dolce segreto per lui e i suoi cari.
Luciano Regolo