ROMA – Quarantasei anni fa, il 1° maggio 1976, venivo assunto come praticante dall’agenzia di stampa quotidiana nazionale Asca (oggi AskaNews), a Roma. Iniziava così la mia vita vita professionale nel giornalismo; o meglio, iniziava così la mia esperienza di giornalista contrattualizzato, perché, da molto tempo prima, il giornalismo era la mia vita: dai giornalini manoscritti “inventati” in seconda media a La Sferza manoscritta del II liceo, primavera 1971, a La Sferza giornale studentesco di Taranto del III liceo, anno scolastico 1971/72 (per inciso, quello del centenario del liceo Archita), sei numeri a stampa, che arrivarono a diffondere migliaia di copie.
E ancora, le collaborazioni col settimanale diocesano di Taranto, Dialogo (1972), e con il quotidiano tarantino Corriere del Giorno (1974), purtroppo scomparso nel 2014, che aveva preso anche un mezzo impegno (un terzo di impegno, va’…) di assumermi, poi svanito, e ancora nel 1975 tre mesi circa di lavoro nero al Globo, a Roma, con la promessa non mantenuta di assunzione.
Nel frattempo, ottenuta – mezzo secolo fa… – la certificazione di una improbabile “maturità”, avevo fatto in tempo ad iscrivermi incongruamente a Medicina a Perugia (la mia patria goliardica), a gettare nello sconforto i miei genitori con l’abbandono di Medicina ed il passaggio a Lettere, a Roma, a fondare in Taranto una vivace, tumultuosa associazione studentesca e giovanile, Autonomia Democratica, nel cui ambito avevo anche trovato una fidanzatina, e a partecipare, dopo un lungo commissariamento, alla rifondazione del Movimento giovanile della Democrazia cristiana.
Assunto il giorno della Festa del Lavoro: era il presagio di un lunghissimo impegno nelle organizzazioni sindacali del giornalismo (e, per la verità, anche in quasi tutti gli organismi di categoria ed in altre associazioni professionali), sempre da una parte sola: quella dei giornalisti, quella della professione, quella del lavoro.
Oh, lo so, non si usa più tanto; ma ho avuto la fortuna, anche con momenti molto brutti e con un due/tre direttori cialtroni e mascalzoni (per non dire di alcuni farabutti nel management editoriale), nella mia lunga vicenda professionale, di fare davvero il giornalista, occupandomi di seguire i fatti dove avvenivano, di cercare di capirli, di comunicarli. Nel mio caso, si è trattato essenzialmente del Parlamento.
Devo molto all’Asca, e non solo perché si è trattato del mio primo contratto e della mia iscrizione nel registro dei praticanti: ci rimasi solo tre mesi, perché il 2 agosto – il giorno del mio ventiduesimo compleanno… – prendevo servizio nella redazione di Taranto della Gazzetta del Mezzogiorno, con l’impegno che in autunno, dopo un paio di mesi, sarei passato alla Redazione romana.
Un paio di mesi al mare, in estate, e per di più vicino alla mia fidanzatina: l’idea mi alettava non poco, anche perché all’Asca, appena assunto, di ferie ne avrei potuto avere pochine, e certo non nei periodi più gettonati… i due mesi diventarono poco più di due anni, e solo alla fine di settembre del 1978, dopo fatti di una certa gravità che costrinsero la società editrice della Gazzetta ad onorare il suo impegno (ero il “capolista” di un elenco di possibili attentati di un gruppo terroristico che voleva compiere a Taranto un delitto di sangue, per poter essere accettato nel brigatismo rosso vero e proprio; e fra gli ideologi del gruppetto c’era la figlia di un direttore-editore di un grosso quotidiano siciliano…), e dopo aver sostenuto in maggio gli esami di Stato per l’iscrizione all’albo come giornalista professionista.
Devo molto all’Asca perché in quei tre mesi, intensi e gratificanti, imparai molto della professione, del trattamento delle notizie; cose che rischiai di perdere nei due mortificanti anni nella redazione tarantina, insieme con i dispettucci e le invidiuzze, e gli episodi di autentico sfruttamento, che mi riuscivano nuovi ed incomprensibili.
Era comunque ripartito un lungo, lunghissimo cammino. Le cui tappe sono state da tempo sotto gli occhi dei lettori e dei colleghi. Un cammino che continua, perché il 1° settembre 2012, nell’ambito dell’ennesimo stato di crisi, ho dato l’addio col prepensionamento al lavoro dipendente, non certo al giornalismo. Meno che mai all’impegno, in tutti gli organismi di categoria, di difendere il lavoro giornalistico, la dignità della professione giornalistica, i diritti dei giornalisti. Compreso il loro diritto-dovere di informare, senza il quale si vanifica il diritto dei cittadini, di tutti i cittadini, anche quelli delle aree economicamente deboli, di essere informati. E, in ultima analisi, di difendere la democrazia: perché democrazia è esercizio cosciente della sovranità popolare, è conoscere per deliberare, e senza informazione libera, plurale e professionale, non c’è neppure democrazia.
Buona Festa del Lavoro a tutti: a chi il lavoro ce l’ha, vero e duraturo; a chi è precario; a chi lavora sottocontrattualizzato, malcontrattualizzato o addirittura in nero; a chi il lavoro l’ha perso o lo sta cercando; a chi vorrebbe decentemente vivere da pensionato dopo vari decenni di fatica; a chi sta studiando avendo come traguardo una dignitosa occupazione. (giornalistitalia.it)
Giuseppe Mazzarino