ROMA – L’hanno raccontata in mondovisione, la loro avventura lungo la via Francigena, Lorenzo Del Boca e Angelo Moia, ospiti di “Cristianità”, la popolarissima trasmissione di Rai World, in onda tutte le domeniche sulle reti Rai dei 5 continenti, ininterrottamente dalle 9.30 alle 12.30, proprio per poter trasmettere in diretta dalla Basilica di San Pietro in tutto il mondo la messa del Papa e chiudere, poi, con il tradizionale “Buon pranzo!” a cui papa Francesco ci ha ormai abituati. A fare gli onori di casa, Suor Miriam Castelli, autrice e conduttrice storica del programma che la Rai ha fortemente voluto per i tantissimi italiani all’estero. In studio anche Pino Nano, caporedattore dell’Agenzia nazionale della Tgr Rai, che ha realizzato il servizio sui due illustri pellegrini.
Tema centrale del programma che ha visto protagonista “la strana coppia” Del Boca-Moia, quello dei “Pellegrinaggi di fede”, di cui il presidente emerito dell’Ordine nazionale dei giornalisti e della Federazione della Stampa e il suo instancabile compagno di viaggio sono, oramai, esperti, dopo aver attraversato l’Europa, ripercorrendo l’antica Via Franchigena, e dopo aver portato a Canterbury, e da Canterbury a Roma, la bandiera del Venerdì Santo. Già, il Venerdì Santo di Romagnano Sesia, che è il paese di origine sia di Lorenzo Del Boca che di Angelo Moia, una delle comunità piemontesi che vanta ancora oggi una tradizione ultrasecolare. E’ qui a Romagnano che è nata e ha preso corpo l’idea di questo lungo pellegrinaggio di fede: “Il tutto parte – spiega Lorenzo Del Boca – dal documento più antico legato alla storia di Romagnano, che è datato 1729 ed è un biglietto di convocazione per i confratelli del ‘Santo Enterro’ che si dovevano preoccupare di riorganizzare la processione di Gesù morto in Croce. Questo ci ha permesso di far risalire le origini del nostro Venerdì Santo al Cinquecento, ripeto1500, quando Romagnano faceva parte del ducato di Milano controllato dagli spagnoli. Non è un caso che la processione del mio paese sia costruita a modello di quelle che, ancora adesso, si svolgono in Andalusia, Murcia piuttosto che Granada, Cordoba o Siviglia”.
Guai a chiedere allo “storico” Del Boca se si tratti di soli indizi o se, invece, abbia elementi più certi da far valere sul tavolo del dibattito in corso: “Le prove? Ci sono tutte. Da noi la processione del Venerdì santo sfila con la bandiera che striscia a terra, i costumi di Nicodemo e D’Arimatea (che staccano il Cristo dalla croce) sono quelli dei nobili spagnoli del Cinquecento, e le corazze dei due Giudei che frustano il Cristo sono quelle autentiche dei Lanzichenecchi, alleati per tutto il Cinquecento agli spagnoli. I costumi originali sono al museo, ma i quattro personaggi vestono delle copie che ne fanno degli attori apparentemente fuori contesto. Angelo Moia, che mi ha seguito in questo pellegrinaggio estenuante e meraviglioso, ha indossato i panni di Gesù per 25 anni e adesso è il presidente del comitato che organizza la manifestazione. Io, dalla scorsa edizione, sono il regista. E’ per questo che abbiamo deciso di arrivare a Canterbury, e con la bandiera di Romagnano, appesa allo zaino di Angelo, siamo ripartiti da Canterbury”.
E’ stato un viaggio lungo, faticoso?
“Abbiamo percorso a piedi 2100 chilometri, – racconta Lorenzo Del Boca – divisi in due mega tappe. La prima tappa, da Canterbury al passo del Gran San Bernardo. Siamo partiti l’undici luglio e siamo arrivati il 20 agosto, 37 giorni di marcia e due di sosta, uno a Reims e uno a Besancon. Il tragitto, visto su scala non troppo allargata, sembra una linea retta che attraversa il peduncolo di Inghilterra da Canterbury a Dover e poi scavalca il Pas de Calais, la Piccardia, la Champagne e la France Contée passando per Guines, Zusausque, Therouanne, Arras, Bapaume, Péronne, Laon, Reims. Poi un centinaio di chilometri fra vigneti pregiati: Trépail, Chateau en Champagne, Coole, Corbeil, Brienne lo Chateau, è dove Napoleone ha frequentato l’Accademia. Ancora: Bar sur Aube, Langres, Besancon, Ormans e Pontalier”.
La Francia finisce qui, e poi?
“Scavallando il colosso del Giura, siamo entrati in Svizzera, passando la frontiera all’Auberson, per toccare il primo villaggio del cantone di Vaud: Saint Croix. Poi giù verso il Lago di Losanna facendo tappa, per l’appunto, a Losanna. Il tracciato del pellegrinaggio mostra, a questo punto, una gobba sulla destra , perché si tratta di girare intorno al lago, Montreaux, Saint Maurice, Martigny, Orsières e l’hospice del San Bernardo a 2400 metri. Avevamo fino a quel momento percorso 1080 chilometri”.
Qui si interrompe la prima parte del vostro pellegrinaggio?
“Esattamente. Il pellegrinaggio si è interrotto fino al 18 maggio quando poi lo abbiamo ripreso nel punto in cui l’avevamo lasciato. Restavano da percorrere altri 1020 chilometri, e restavano da attraversare almeno sette regioni d’Italia. A Roma siamo arrivati il 20 giugno scorso, dopo 32 lunghi giorni di marcia, e uno soltanto sosta. E allora, per ordine: Aosta, Arnad, Bard, Burolo d’Ivrea, Santhià, Vercelli cioè casa nostra”.
Dice Angelo Moia che avete fatto di tutto per rientrare in tempo per votare…
“Si è vero, siamo tornati a casa il 25 maggio, in tempo utile per votare sia per le Europee che per il nostro municipio. Il giorno dopo, il 26 maggio abbiamo ripreso la strada: Mortara, Grippello, Orio Litta. Come suggerisce il diario del vescovo Sigerico abbiamo traghettato sul Po con un battellino che, non a caso, abbiamo battezzato Sigerico. E siccome Sigerico ha guadato il Trebbia a piedi nudi, abbiamo fatto la stessa cosa anche noi, abbiamo tolto scarponi e calze per imitarlo. Poi subito dopo siamo arrivati a Piacenza, abbiamo dormito nell’Abazia di Chiaravalle, abbiamo attraversato Fidenza e ci siamo fermati a Fornovo”.
La difficoltà maggiore?
“Forse la parte più faticosa è stato il passaggio della Cisa, dalla provincia di Parma a quella di Massa Carrara: Pontremoli, Aulla, Sarzana, toccando per un briciolo la Liguria, Avenza di Carrara, Camaiore, Lucca, Ponte a Cappiano, Fucecchio, dove è nato Montanelli, San Miniato, Gambasso, San Gimignano, Siena. Poi gli ultimi 300 chilometri ci hanno portato a Buonconvento, Bagno Vignoni, Radicofani, Bolsena, Viterbo, Capranica, Campagnano, La Storta, Roma”.
Cosa comporta un viaggio così lungo?
“Confesso che non è facile. I preparativi sono tanti, le prove da affrontare altrettanto complesse. Prima di tutto devi ‘mettere qualche centinaio di chilometri nelle gambe’ utilizzando il tapis roulant, o andando per boschi o colline, in modo da allenarti e reggere bene l’impegno di almeno 30 chilometri al giorno per diverse settimane. Poi c’è la cura dello zaino. Lo zaino va riempito con attenzione. Ci vuole un buon sacco a pelo, un maglione, una giacca a vento, un ombrello, il beauty-case, gli asciugamani e almeno tre cambi diversi, maglietta e mutande. E poi l’attenzione maggiore va riservata a calze e scarponi, perché i piedi sono quelli che ti consentono di andare in giro e fino in fondo. Non basta calzarli, occorre vestirli. L’esperienza degli anni passati mi ha insegnato che le calze vanno prese di mezzo numero in meno della propria misura, in modo che risultino del tutto ben distese e non facciano pieghe. Gli scarponi mezzo numero in più”.
E’ davvero strano sentire lo “storico” Del Boca che parla così di calze…
“Non è tutto, non crediate. Le calze migliori in questi casi sono quelle di lana pesante, sono quelle che devi avere se vuoi arrivare con successo fino alla fine, perché ti consentono di camminare come se tu fossi su una moquette. Non ci crederebbe nessuno, ma un piccolo difetto o un’incuria può compromettere l’impresa per sempre, basta un nulla, una semplice piega della calza sulla quale si cammina, e se lo fai per otto ore di seguito, ti produce una piaga difficile da sanare, dopo di che il pellegrino non cammina più…potrebbe solo volare…e allora è davvero la fine della corsa”.
Quante suggestioni?
“Tantissime, infinite, io e Angelo ce le portiamo dentro tutte quante. In Francia: i cimiteri della prima guerra mondiale…sterminati…a ricordo delle battaglie della Somme e della Marne, che hanno bruciato un milione di ragazzi. Poi ancora, l’ospitalità di Vivianne Jacqueminet, di madame Songy, del sindaco-donna di Corbeil, che ci ha portato e servito personalmente la cena. Mi vengono in mente anche i sacerdoti dell’Ordine di Saint Jean de la Salle, a Camblain l’Abbé, che approfittando delle vacanze scolastiche, stavano costruendo una chiesa nuova: quaranta gradi all’ombra, con la tonaca arrotolata sui fianchi, appesi alla bitumatrice o intenti a scaricare ghiaia. Straordinario!”.
Un’altra ancora?
“Mi viene in mente la salita al Gran San Bernardo, per la strada percorsa da Napoleone. L’Italia poi, è inutile dirlo, offre suggestioni artistiche, storiche e paesaggistiche superiori. Ogni angolo è una scoperta architettonica, un piacere gastronomico, un ricordo storico da lucidare. Si comprende bene il perché siano il settanta per cento delle opere d’arte e dei siti dell’Unesco patrimonio dell’umanità”.
Qualche ricordo bello?
“Tanti ricordi belli. Prima di tutto Cristina, la ragazza del bar Smile di Fidenza che, ai pellegrini, il the l’ha offerto e non ha voluto che lo pagassimo. O la pasta con i funghi di Maddalena di Monticelli, una minestra adatta per resuscitare i moribondi”.
E’ stato così anche fuori dall’Italia?
“Devo dire la verità, la Francia presenta percorsi più indefiniti e accoglienze più precarie. Noi italiani rimaniamo gente speciale. Camminare per la Francigena al nord è una vera avventura, da pianificare con attenzione. Angelo ogni sera disegnava il tracciato per il giorno dopo, io invece mi preoccupavo della logistica. Insomma lui il navigatore, io invece stabilivo dove poter mangiare, dove fermarci, dove dormire, soprattutto come equipaggiarsi.
Una volta in Italia è stato più semplice?
“In Italia il tracciato è perfettamente definito. Indicazioni a ogni incrocio e rifugi ogni dieci chilometri. Forse per questo nella prima metà della nostra impresa, soprattutto in Francia, abbiamo incontrato soltanto tre persone, erano italiani di Varese, che scendevano in bicicletta. In Italia, invece, la compagnia non manca mai, per fortuna. Lungo il percorso abbiamo incontrato e camminato con un ragazzo della Svizzera tedesca, Manuel, con Maria, lei era di Bressanone, maestra esperta di riflessologia, e infine con una signora australiana capace di affrontare da sola tappe di 50 chilometri per volta. Abbiamo incontrato un campano che aveva lavorato due anni a Londra e, una volta finito il contratto, aveva deciso di tornare a casa, a Ischia, e aveva deciso di farlo a piedi. Ma ricordo anche l’incontro con un irlandese che era arrivato a Roma a piedi, e a piedi stava tornando.
Qual è invece l’emozione più forte che lo “storico” Del Boca si porta dietro?
“Certamente il nostro arrivo a Roma, il nostro incontro con il Cardinale Javier Lozano Barragan, Presidente Emerito del Pontificio Consiglio per la sanità, praticamente il Ministro della Sanità dello Stato del Vaticano, a cui Angelo e io abbiamo consegnato la nostra bandiera del Venerdì Santo. Ma è stata una emozione forte anche il nostro arrivo in Piazza San Pietro, con tutte queste mille luci che al tramonto rischiaravano le colonne attorno alla Basilica e dove, di proposito, abbiamo scelto di concludere il nostro percorso di preghiera. Forse un giorno riusciremo a regalare il nostro vessillo anche a Papa Bergoglio, glielo porteremo e glielo consegneremo nel nome della nostra gente, gente semplice, buona, gente del Piemonte, a cui il Santo Padre è legato moltissimo per via delle sue origini. Forse lui non sa, ma la nostra gente guarda a lui con enorme speranza, e nelle chiese più sperdute della nostra terra la gente buona prega ogni giorno per lui”.
Che compagno di viaggio è stato Angelo?
“Meraviglioso, come lo è nella vita di tutti i giorni. Angelo è un amico che non ti chiede mai nulla in cambio, un uomo di una generosità senza pari, un signore d’altri tempi, di cui sai che puoi fidarti senza riserve, sempre e comunque, ma soprattutto Angelo è un uomo che non è mai invecchiato, è rimasto il ragazzo di un tempo, che sa ancora sorridere e sognare. Mi sento molto fortunato ad averlo così vicino”.
Cos’è che vi ha spinto ad affrontare un’avventura così faticosa, anche se bella?
“La voglia di ritrovare noi stessi, di riscoprire un’intimità che forse la vita quotidiana che facciamo, o meglio facevamo, Angelo l’imprenditore, io il cronista, non ci avrebbe mai permesso di vivere, e poi soprattutto la consapevolezza che quello che scriveva anni fa il grande Tiziano Terzani, alla fine, fosse il vero senso della vita. Vale la pena riportare alla memoria un passo brevissimo, tra i tanti che TizianoTerzani ha tramandato a noi inviati molto più giovani di lui. Dice più o meno questo, e vale davvero la pena, ripeto, rammentarlo: Ormai nessuno ha più tempo per nulla. Neppure di meravigliarsi, inorridirsi, commuoversi, innamorarsi, stare con se stessi. Le scuse per non fermarci a chiedere se questo correre ci rende felici sono migliaia, e se non ci sono, siamo bravissimi a inventarle. La regola secondo me è: quando sei a un bivio e trovi una strada che va in su e una che va in giù, piglia quella che va in su. È più facile andare in discesa, ma alla fine ti trovi in un buco. A salire c’è più speranza. È difficile, è un altro modo di vedere le cose, è una sfida, ti tiene all’erta. Si corre nella speranza di un qualcosa che, una volta ottenuto, non è mai com’è stato quel correre con la speranza. E ricordati, io ci sarò. Ci sarò su nell’aria. Allora ogni tanto, se mi vuoi parlare, mettiti da una parte, chiudi gli occhi e cercami. Ci si parla. Ma non nel linguaggio delle parole. Nel silenzio. Bella, vero?”
Guarda il video della puntata di “Cristianità”: http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-312860cc-525c-47ba-8928-e2bb25d6d29c.html