MILANO – Il Secolo d’Italia pubblica un fotomontaggio con il cronista del quotidiano la Repubblica, Paolo Berizzi, imbavagliato davanti ad un manifesto con la scritta “Brigate rosse” e scoppia la polemica. Per il quotidiano diretto da Carlo Verdelli «è l’ultimo attacco che il Secolo d’Italia, con un articolo a firma del suo direttore Francesco Storace, ha fatto al giornalista Paolo Berizzi e alla sua rubrica, “Pietre”, pubblicata su Repubblica da fine novembre. Un appuntamento quotidiano – spiega la collega Alessandra Corica – in cui il giornalista (sotto scorta per il suo lavoro di inchiesta) evidenzia ogni giorno un episodio di antisemitismo, razzismo, xenofobia. Un appuntamento diventato quotidiano per i lettori di Repubblica. Ma che il Secolo d’Italia, voce della destra italiana, vorrebbe ribattezzare Le Iene. Imbavagliandone l’autore».
Il fotomontaggio è stato pubblicata a fine novembre, in concomitanza con l’avvio della rubrica di Berizzi, ma soltanto nei giorni scorsi è diventato virale sui social in virtù del fatto che, numerosi lettori, si sono sentiti in dovere di testimoniare la loro solidarietà al giornalista ed al giornale.
«Ancora una volta – denuncia la Repubblica – Paolo Berizzi è stato insultato e minacciato. La direzione, il Cdr e la redazione di Repubblica gli sono vicini sapendo che Paolo non si lascerà di certo intimidire da chi non gradisce e anzi ha paura del suo lavoro».
«Attacchi come quello che il Secolo d’Italia ha sferrato contro il collega Paolo Berizzi di Repubblica – commentano Fnsi e Associazione Lombarda dei Giornalisti – non sono ammissibili. Il giornale e chi lo dirige sono liberissimi di dissentire dalle opinioni del collega Berizzi, ma il fotomontaggio che lo raffigura imbavagliato con la bandiera delle Brigate Rosse sullo sfondo è un atto di squadrismo e di incitamento all’odio, che non ha niente a che vedere con la libertà di espressione e con il pluralismo dell’informazione».
«Se l’autore di quella trovata – incalza il sindacato dei giornalisti – pensa in questo modo di intimidire Paolo Berizzi, peraltro già sotto scorta per le minacce che subisce da anni da gruppi neonazisti, si sbaglia. Viene piuttosto da chiedersi se sia ancora accettabile che testate che percepiscono i contributi pubblici del fondo per il pluralismo dell’informazione, come appunto il Secolo d’Italia, possano spacciare per libertà di opinione e dissenso politico atti che si collocano chiaramente fuori dai confini della Costituzione, della legge e delle Carte dei doveri del giornalista».
«Non ho capito che vogliono, si sono svegliati adesso dopo un mese che ho pubblicato quel fotomontaggio su Berizzi, del tutto provocatorio. Tornino a dormire». Così all’Adnkronos, Francesco Storace, direttore de “Il Secolo d’Italia”, risponde alle polemiche nate sul fotomontaggio.
«Abbiamo pubblicato quel fotomontaggio in coincidenza con il suo annuncio di una rubrica quotidiana un mese fa – spiega Storace – a seguito delle immagini su Google delle minacce a Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Non mi pare che si siano levate le stesse grida di indignazione per lo stesso fotomontaggio dedicato ai leader sovranisti o le loro facce a testa in giù».
«Il fotomontaggio del Secolo – conclude Storace – ha lo scopo di far capire come ci si sente a parti rovesciate. Con le Sardine che predicano che non tutti hanno diritto ad essere ascoltati, Berizzi, l’Anpi, Fiano e Fratoianni, si lamentano per un bavaglio. Volevo vedere che accadeva a parti inverse. Adesso possono anche tornare a dormire».
«È facilmente intuibile – replica dal conto suo il Cdr de “Il Secolo d’Italia” – che la foto si inserisce all’interno di una provocazione giornalistica, tesa a rilevare che la rubrica dello stesso Berizzi critica legittimamente episodi di razzismo e discriminazione ma lo fa a senso unico, ignorando sistematicamente l’odio e il fango che si riversano sulla destra».
«La foto – afferma il Cdr – riproduceva lo stesso trattamento subìto dal sovranista Matteo Salvini (anche lui ritratto col bavaglio e la sigla delle Br sullo sfondo). Quello stesso Salvini che la sinistra indica come il principale istigatore dell’odio che purtroppo avvelena l’attuale dibattito politico. Ricordiamo che la testata che con un mese di ritardo ha sollevato il caso è la stessa dalle cui colonne, lo scorso ottobre, la leader di Fratelli d’Italia veniva etichettata come “reginetta di coattonia” e le venivano attribuite frasi mai pronunciate sui “rom da stanare casa per casa”.
In quel caso il Secolo d’Italia si limitò a ribattere con le asprezze che sono consuete quando si alzano i toni del dibattito. Non ricordiamo interventi del sindacato nazionale dei giornalisti a difesa della giornalista Meloni».
«Un comunicato della Fnsi – afferma il Cdr del Secolo – definisce la foto e l’articolo di cui stiamo parlando un “atto di squadrismo e di incitamento all’odio”. Un’accusa che respingiamo fermamente: mai la nostra testata sarà complice di quelle strumentalizzazioni che tendono a riportarci indietro ad anni plumbei, anni in cui il nostro giornale subì tra l’altro gravi attentati senza che mai venissero individuati i responsabili. E ciò mentre gli “eskimi in redazione” si divertivano a invocare una “democratica” caccia al nero. Conosciamo bene i guasti di quel periodo e mai saremo complici del suo ritorno».
«Infine – sottolinea il Cdr – ci lascia perplessi il passaggio del comunicato della Fnsi nel quale si accusa la nostra testata di “spacciare per libertà di opinione e dissenso politico atti che si collocano fuori dai confini della Costituzione, della legge e delle carte dei doveri del giornalista”. Chi decide, infatti, cosa è fuori e cosa è dentro la Costituzione? Chi decide quando il dissenso politico diventa censurabile? Chi decide i limiti della libertà d’opinione?».
«Per questo – conclude il Comitato di redazione de “Il Secolo d’Italia – ci sono normative ben precise dinanzi alle quali non dovrebbero contare le amicizie, il far parte del giornalismo mainstream o la vicinanza a testate autorevoli. Le quali, per inciso, percepiscono fondi pubblici per il pluralismo dell’informazione esattamente come noi, pur spacciandosi per quotidiani indipendenti e senza dichiarare ai propri lettori, come il Secolo onestamente fa, lo schieramento di appartenenza e di riferimento». (giornalistitalia.it)