MILANO – Maurizio Belpietro ha offeso la religione islamica, ma non i suoi fedeli e il vilipendio alla sola religione non è più reato, perché la norma che lo prevedeva è stata abolita. Questa, in sostanza, la motivazione dell’assoluzione a Milano del giornalista, ora direttore de La Verità, che era finito a processo per aver pubblicato, l’8 gennaio 2015, sulla prima pagina di Libero, giornale di cui era direttore all’epoca, il titolo “Questo è l’Islam”, corredato da una foto che mostrava l’attacco terroristico al settimanale satirico Charlie Hebdo a Parigi del giorno precedente.
“L’offesa – scrive il giudice monocratico Ombretta Malatesta nelle motivazioni, da poco depositate, del verdetto del luglio scorso – era rivolta alla religione come tale e, solo mediatamente e indirettamente, ai suoi proseliti”.
Il giudice spiega, poi, che la Corte Costituzionale ha giudicato legittima la norma (l’articolo 403 del codice penale) che “protegge il sentimento religioso di per sé, sanzionando le pubbliche offese verso lo stesso attuate mediante il vilipendio dei fedeli di una confessione religiosa”. La stessa Consulta, invece, ha giudicato incostituzionale la norma (l’articolo 402 del codice penale) che, come nel caso in questione, sanziona l’offesa rivolta a una religione, l’Islam in questa vicenda, come fenomeno religioso in sé e “nei suoi contenuti teoretico-dogmatici”.
Belpietro è stato, dunque, assolto perché il “fatto non sussiste” dall’accusa di “vilipendio” verso coloro “che
professano la religione islamica» che era stata contestata dalla Procura di Milano. Il giornalista era stato già assolto anche nel dicembre 2017, sempre a Milano, per un altro titolo apparso sulla prima pagina di Libero, “Bastardi islamici”, del novembre 2015 dopo la strage di Parigi. (ansa)
Depositata la motivazione della sentenza del Tribunale di Milano sul titolo di Libero