I primi piani che raccontano terrore non sono giornalismo, ma gratuita violenza

Basta con le strazianti immagini dei bambini

VICENZA – Abbiamo proprio bisogno di continuare ad inquadrare bambini in primo piano, a raccogliere testimonianze che raccontano di terrore, di paura di frasi come “no alla guerra” per rendere un servizio televisivo più efficace, commovente, drammatico? Anche no mi verrebbe da dire. Vogliamo parlare di quanto accaduto qualche sera fa in prima serata, nel Tg1 delle 20 quando, un primo piano durato un’infinità, su un bambina infagottata con una bambola in mano, le lacrime agli occhi – naturalmente ben centrate dalla telecamera –raccontava che aveva paura, che non voleva la guerra e che le sarebbe piaciuto solo giocare? Ebbene è diventata la copertina della giornata di guerra? Che immagini strazianti.

Chiara Roverotto

Ma ne valeva la pena? Da giornalista dico no. Da donna ribadisco no. Da madre affermo no. Da telespettatrice riaffermo il mio no. E, aggiungo, smettiamola con i bambini sempre inquadrati, con i volti stravolti, stremati, stanchi, spaventati.
Se ci sono storie raccontiamole come quella del piccolo ucraino di undici anni che la madre aveva lasciato andare da Zaporizhia, la città della centrale nucleare colpita, con il numero di telefono dei parenti a Bratislava, scritto su una mano, come una sorta di salvacondotto. Si è salvato, ha raggiunto i suoi fratelli ed è salvo. Ed era un racconto meraviglioso  con i doganieri che gli permettevano di passare i confini. Ma il resto no, è pura compassione, commiserazione, compatimento sul quale si potrebbe anche sorvolare, perché sappiamo che esiste, fa parte di quelle famiglie, di quella gente costretta a mettersi in fila con la speranza di potersene andare, di salvarsi dalle bombe e dalla brutalità di un conflitto che nessuno immaginava potesse avere un’escalation così brutale. Ecco perchè dobbiamo lasciare stare almeno i più piccoli. Loro avranno già una vita complicata, difficile; per cui facciamo qualche passo indietro con le telecamere rispetto ai loro pianti, ai loro occhi azzurri, ai loro capelli biondi, alle bambole, ai giocattoli. Ce lo chiede la Carta di Treviso, ce lo chiede il Garante della privacy.
«Basta con i volti disperati dei bambini in televisione, sui giornali e sui social network. Evitiamo di portare, almeno i più piccoli, in guerra una seconda volta, nella dimensione digitale». Lo ha affermato, qualche giorno fa, il Garante per la protezione dei dati personali che si è rivolto ai media, alle grandi piattaforme di condivisione di contenuti e a ciascun utente dei social network. Sulla stessa lunghezza d’onda anche l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni che ha fatto suo il medesimo appello.
E allora, pensiamoci? Anzi, a me farebbe piacere che ci fosse l’Ordine nazionale dei giornalisti che avesse qualcosa da dire al riguardo e, soprattutto, che avesse anche la capacità di agire. Di far sentire la sua voce. Forte, autorevole e chiara contro questo stillicidio. (giornalistitalia.it)

Chiara Roverotto

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