ROMA – La giornalista Gelare Jabbari ha scelto in questi giorni Instagram per motivare la scelta fatta un mese fa: “Scusatemi, ho mentito per 13 anni”. Zahra Khatami ha prima ringraziato per averla “seguita fino ad oggi”, e poi ha detto addio: “Non tornerò mai più in Tv. Perdonatemi”. La sua collega Saba Rad, ha fatto altrettanto: “Annuncio che dopo 21 anni di lavoro in radio e Tv non posso continuare a lavorare nei media”.
L’ondata di rabbia che ha investito l’Iran dopo l’abbattimento dell’aereo ucraino da parte della contraerea di Teheran – ma la cui responsabilità era stata in un primo momento negata da parte del regime – provoca una reazione anche tra le giornaliste della televisione di Stato, alcune delle quali
decidono di ribellarsi.
Sembra essere in corso una sorta di “crisi di coscienza” fra i giornalisti, scrive il Guardian, fra i media a dare conto della decisione comunicata nel giro di pochi giorni dalle tre giornaliste iraniane. Una crisi – prosegue il quotidiano britannico – che ha portato anche alcune delle agenzie di stampa considerate più vicine al regime a parlare delle proteste di piazza o almeno a cominciare a menzionare ipotesi su un potenziale insabbiamento.
Intanto un’altra defezione suscita polemiche nel mondo dello sport iraniano. Una fotografia in cui appare senza l’hijab, il velo islamico obbligatorio per la Repubblica islamica, ha costretto Shorheh Bayat, prima donna asiatica arbitro di scacchi a livello internazionale, a dire addio al suo Paese. L’immagine, rubata durante una partita a Shanghai valida per i mondiali femminili, è stata pubblicata sui media di Teheran, trasformando suo malgrado Shohreh in un simbolo di ribellione.
“Ho acceso lo smartphone e ho visto che la mia foto era ovunque. Scrivevano che il mio era un gesto di protesta contro l’hejab”, dice Shohreh, citata dalla Bbc.
In realtà, spiega, il foulard che portava sulla testa per coprire parte dei capelli – come fanno molte iraniane che non credono nella legge in vigore, ma le devono obbedire – le era scivolato per un momento sulle spalle. Comunque da Vladivostok, in Russia, dove sta arbitrando altre partite, la donna ha affermato di essere contraria all’imposizione dell’abbigliamento islamico.
In un primo momento, spiega, la Federazione scacchi iraniana le aveva consigliato di scrivere una lettera aperta di scuse in cui avrebbe dovuto difendere l’hijab, ma lei ha rifiutato. Una scelta che l’ha obbligata a rinunciare a rientrare nel suo Paese. “C’è molta gente in prigione in Iran – sottolinea – a causa del velo. È una questione molto seria”.
Il caso dell’arbitro donna segue di pochi giorni la defezione di Kimia Alizadeh, campionessa ventunenne di taekwondo medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Rio del 2016, che ha annunciato il suo addio con un violento attacco alla Repubblica islamica. “Non voglio più sedere al tavolo dell’ipocrisia, delle menzogne, dell’ingiustizia e della piaggeria”, aveva affermato Kimia. (ansa)