ROMA – Sono le 6 di mattina del primo maggio 2011 a Roma quando, a una donna che tranquilla sta dormendo nel suo letto, arriva un sms in cui è scritto solo “Bin Laden è morto”. La reazione è una sola, visto che si tratta di una giornalista inviata di guerra, quella di far le valigie, cambiare dei soldi e chiedere il visto per il Pakistan dove il capo di Al Qaeda è stato ucciso dagli americani. Del resto per Barbara Schiavulli, esperta di quell’aerea e quei problemi, Bin Laden era una vecchia conoscenza se l’11 settembre 2001, giorno dell’attentato alle Torri Gemelle a Manhattan e al Pentagono, capì immediatamente che era opera sua, quando ancora nessuno sapeva chi fosse.
È con questi due episodi, a distanza di dieci anni, che si apre questo “Bulletproof Diaries – Storie di una reporter di guerra” (Round Robin edizioni, pagine 128, euro 15), racconto personale di cosa significhi fare l’inviato free lance dove si combatte, perché lo si fa, che cosa si rischia, come si vive e si opera in un posto dove l’imprevisto è dietro l’angolo e magari si tratta di proiettili o una mina, ma dove anche si consolidano amicizie che dureranno, come quella con un’altra giornalista, Barbara Alighiero.
Un racconto speciale, perché la forma non è più quella della testimonianza scritta, della narrazione tutta a parole come era nell’intenso e vivido “Guerra e guerra” (Garzanti 2009), ma sceglie l’immediatezza visiva della graphic novel disegnata da Emilio Lecce con bel tratto e bei tagli in un bianco e nero che si fa spesso vero noir. E la memoria sente l’eco dei grandi reportage disegnati di Joe Sacco.
La storia è appunto quella degli ultimi dieci anni di un paese, l’Afghanistan, e di un popolo che vive da 40 anni in guerra, continuamente “liberato” da “missioni di pace” che finiscono anzitempo, senza risolvere i problemi di povertà, analfabetismo, della condizione della donna che lotta anche lei contro certe tradizioni e subisce le umiliazioni dei talebani, mai veramente sconfitti, mentre portano il terrore nel mondo.
Un volume seducente e che introduce a quel mondo e quelle guerre, cerca di far capire, ma mettendo anche in relazione i grandi avvenimenti con la vita quotidiana minima, i sentimenti, i sogni, le certezze e gli interrogativi della Schiavulli e sostanziali sono le venti pagine di curiosità, situazioni, luoghi e personaggi che, come in un diario, vengono proposti a metà del libro, mentre per chi, a quel punto, si sia davvero incuriosito e voglia approfondire c’è l’intervento finale della giornalista, con anche un’intervista a Suyed Saleem Shahzad, direttore pakistano dell’Asian Time sull’operazione Bin Laden e i tanti misteri che l’avvolgono.
“Noi si cerca di districare la verità. E per questo noi giornalisti facciamo della nostra vita uno strumento per porre domande” per capire, per far capire al di là di quello che cercano sempre di farci credere. Per farlo succede di tutto, anche che due reporter senza paura delle bombe, che non perdono la loro femminilità, in tutti i sensi, si terrorizzino per un grillo entrato nella loro stanza dell’albergo Intercontinental di Kabul, dove per fare la doccia arriva una brocca piena d’acqua dalla portineria. Perché la guerra va bene, ma non bisogna mai perdere l’ironia o dimenticare che la vita continua, tornate a casa. (Ansa)