CITTA’ DEL MESSICO – Il fotoreporter Ruben Espinosa, 32 anni, specializzato in giornalismo investigativo, è stato assassinato con due colpi di pistola al petto, oltre ad evidenti segni di percosse al viso, in un appartamento di Città del Messico. Il suo corpo è stato ritrovato assieme a quello di altre quattro donne, tra le quali una domestica, che riportavano evidenti segni di violenze e di torture nel quartiere Narvarte. L’ultimo contatto telefonico con la famiglia, che ieri ha proceduto alla sua identificazione, l’aveva avuto venerdì, il giorno nel quale viene fatto risalire l’omicidio avvenuto, probabilmente, verso le 2 del pomeriggio.
Con Ruben Espinosa, che a Natale aveva ricevuto minacce di morte, sono già oltre ottanta i giornalisti uccisi negli ultimi dieci anni ed altri diciassette sono scomparsi nel nulla. Da quando i cartelli dei narcotrafficanti hanno preso il controllo di vaste zone del Paese la professione giornalistica è, infatti, ad altissimo rischio.
Espinosa, che collaborava, tra l’altro, con la rivista Proceso e l’agenzia Cuartoscuro, da poco aveva lasciato la costa del Golfo di Veracruz, dove si sentiva minacciato. Se il Committee to Protect Journalists punta l’indice sui narcotrafficanti, Articolo 19 sottolinea che l‘omicidio di Espinosa segnato un nuovo livello di violenza contro i giornalisti in Messico. Numerosi giornalisti sono stati, infatti, costretti a rifugiarsi nella capitale messicana, dove il governo federale ha istituito un’apposita agenzia, per sfuggire alla ferocia delle bande criminali. Articolo 19 denuncia, comunque, che nonostante l’agenzia, l’omicidio è avvenuto “senza che le autorità incaricate di proteggere i giornalisti abbiano mosso un dito per aiutare Espinosa”. Il 15 giugno scorso, infatti, avevano denunciato pubblicamente che il giornalista era stato vittima di un’aggressione davanti alla sua casa a Xalapa, la capitale di Veracruz, ad opera di alcuni ragazzi vestiti di nero.
“Non mi fido di nessuna istituzione dello Stato, non mi fido del governo, ho paura per i miei coetanei, ho paura per me”, aveva detto nel giugno scorso Espinosa in un’intervista aggiungendo che “è triste pensare a Veracruz, non ci sono parole per definire quanto sono ridotti male lo Stato, il governo e la stampa e quanto, invece, goda di piena salute la corruzione. Veracruz ha scelto la morte, la morte ha deciso di vivere lì”. (giornalistitalia.it)
Fuggito da Veracruz “il paese della morte”, è stato ucciso a Città del Messico