ROMA – La manovra Inpgi è un passaggio ineludibile per la nostra categoria. È uno snodo fondamentale, necessario per difendere l’autonomia dell’istituto e la solidità professionale della categoria. È un passaggio al quale Stampa Romana non vuole sottrarsi. Il documento della Segreteria offre un quadro politico, di consapevolezza anche a breve dei sacrifici che la manovra chiederà alla categoria.
Offre una serie di riflessioni, punti di domanda e criticità, a iniziare dal tempo troppo stringato nel quale abbiamo dovuto esaminare i documenti dell’istituto, al bilanciamento delle scelte sulle platee che, a vario titolo, saranno costrette a versare il loro obolo sull’altare del risanamento.
Soprattutto chiediamo che sia chiaro che la ripartenza del mercato del lavoro è l’unica condizione perché questi sforzi non siano vani. È un documento che mettiamo a disposizione di tutti in vista anche dei passaggi sindacali e previdenziali nei quali marcerà la riforma.
Lazzaro Pappagallo
Segretario Associazione Stampa Romana
1. Il rischio di un intervento di corto respiro
L’intervento di emergenza sui conti dell’Inpgi nasce da uno squilibrio molto pesante fra entrate e uscite previdenziali. Nessuno può negare la necessità di un corposo intervento di risanamento in tempi ragionevolmente brevi. Ed è condivisibile in linea di principio la scelta di una manovra molto articolata, che coinvolge lavoratori attivi e pensionati (ma questa seconda gamba della manovra dipenderà dalla futura giurisprudenza) al fine di ridurre l’impatto su di una sola fascia anagrafica o retributiva, e che ridimensiona o cancella qualche aspetto anacronistico del welfare. Ma va chiarita la distribuzione dei pesi dell’intervento sulle diverse fasce generazionali e reddituali, tanto fra gli attivi che fra i pensionati. È invece di difficile comprensione la necessità del ridimensionamento, peraltro marginale ai fini degli obiettivi finanziari, del sussidio di disoccupazione, uno strumento che per tanti colleghi in difficoltà è di pura sopravvivenza.
È pacifico, nella consapevolezza degli uffici dell’Istituto, ed è stato riconosciuto in più occasioni pubblicamente dal presidente Andrea Camporese, che nel lungo periodo solo una politica contrattuale inclusiva ed espansiva potrà garantire un reale equilibrio. La manovra che è stata proposta alle parti sociali, infatti, prevede, a giudizio del Consiglio di amministrazione che l’ha abbozzata, una teorica sostenibilità trentennale solo a condizione di una platea occupazionale e di una massa retributiva che si mantengano almeno sostanzialmente stabili; per evitare cioè di ritrovarci a discutere della crisi dell’Inpgi fra tre o cinque anni, non solo dovremmo essere in grado di conservare tutti i posti di lavoro attuali, ma dovremmo anche blindare in un contestuale pre-accordo con la controparte datoriale tutte le parti fisse e variabili delle retribuzioni (come festivi e notturni, da tempo invece nel mirino degli editori) che contribuiscono in modo significativo alla massa dei contributi. Nessuno seriamente oggi può affermare che tutto questo sia realistico, guardando al solo andamento del mercato e senza una profonda svolta nella politica sindacale, nei rapporti con le istituzioni che determinano il residuo flusso di risorse pubbliche a favore del settore, nella capacità progettuale delle imprese del settore. Si tratta di scenari futuribili da costruire responsabilmente: ma, in attesa che si materializzino, il futuro dell’Inpgi – e di conseguenza, trattandosi di un ente privatizzato che per legge non può essere rifinanziato dallo Stato, delle pensioni dei giornalisti italiani – resta esposto a rischi fortissimi. La manovra, slegata dai tempi dell’azione sindacale e politica, impone sacrifici importanti, soprattutto alla platea dei giornalisti più giovani, sui quali peserà in maniera più consistente la riduzione dell’aliquota di rivalutazione, senza alcuna garanzia di tenuta dei conti dell’Istituto nel medio e lungo periodo.
Un preoccupante punto interrogativo è rappresentato dal governo. Il mancato rispetto degli impegni assunti solo un anno fa in materia di sgravi occupazionali, il sostanziale blocco dei finanziamenti per i prepensionamenti, la lunga attesa per il via libera al finanziamento della ex fissa, il disinteresse per una seria riforma della legge sull’editoria, le incertezze sul futuro del servizio pubblico radiotelevisivo, così come, più in generale, la scarsa chiarezza sulla strategia di palazzo Chigi in materia di editoria destano serie preoccupazioni per il futuro dell’Istituto. Occorrerebbe chiarire questi punti con il governo prima di procedere con la riforma.
2. Un percorso realmente partecipato
L’Associazione Stampa romana, con un pronunciamento unanime del suo Consiglio direttivo, aveva chiesto alla Federazione nazionale della Stampa fin dallo scorso mese di aprile l’apertura del “confronto più ampio possibile con la categoria e con gli organismi dirigenti dell’Istituto (…) sul destino dell’Ente alla luce delle proiezioni attuariali e nel contesto di un mercato del lavoro profondamente mutato”. La legge assegna alle parti sociali l’onere di determinare gli indirizzi delle politiche previdenziali dell’Inpgi in materia di contribuzione e prestazioni (D.lgs 509/94, art. 3, comma b). I vertici dell’Istituto, nella loro attuale strutturazione, sono soprattutto espressione di processi di rappresentanza elettiva della categoria dei giornalisti e ad essa rispondono; hanno tutta la legittimità per interventi unilaterali, ma solo in caso di “determinazioni” delle parti sociali che dovessero mettere a rischio l’equilibrio dei conti. Un dibattito ampio e con il coinvolgimento dei colleghi, anche fuori dai ristretti ambiti dei gruppi dirigenti sindacali, a fronte di una impegnativa riforma sia delle pensioni sia di una parte del welfare dei giornalisti, non può essere esaurito in meno di tre settimane, dal 19 giugno, giorno della pubblicazione sul sito della Fnsi del documento sulla manovra, all’8 luglio, giorno nel quale la Giunta esecutiva della Fnsi dovrebbe pronunciarsi sul tema. Ma l’informazione fornita dal documento Inpgi lascia aperto lo spazio a diversi necessari approfondimenti, senza i quali anche un qualunque pronunciamento di parte sindacale sarebbe basato su dati largamente insufficienti. Il non aver fornito, anche sinteticamente, un quadro completo delle proiezioni attuariali impedisce in realtà una valutazione autonoma della manovra. E soprattutto non consente l’eventuale elaborazione di proposte alternative.
Come segreteria di Stampa romana avanziamo, in coda a questo documento, dei quesiti ai vertici dell’Inpgi per approfondire il senso e l’impatto materiale di alcune misure indicate nel documento. Ci auguriamo che, vista l’urgenza posta al sindacato, le risposte saranno adeguatamente tempestive e complete. Se una parte dei conteggi finalizzati alle previsioni attuariali di lungo periodo è ancora in corso, vorrà dire che anche il confronto sindacale avrà bisogno del tempo necessario per acquisire tutte le informazioni necessarie, per valutarle e per produrre eventuali proposte di integrazione o modifica fondate su basi più solide.
3. Principali problematiche di strategia sindacale aperte dall’ipotesi di manovra
- L’impegno di risorse degli editori sulla contribuzione può essere una necessità ineludibile, ma bisogna tenere presente che il lavoro del sindacato nella contrattazione si svolge sostanzialmente su due terreni: soldi e regole. Se i soldi vengono impegnati (accade da anni, a causa delle oggettive difficoltà dell’Inpgi) solo o prevalentemente sul terreno della contribuzione, mancano le risorse per i canali alternativi nei quali si possono contrattare: adeguamenti retributivi (anche modesti, come sappiamo non è tempo di vacche grasse), allargamento dei contratti regolari al posto di co.co.co, partite Iva e figure professionali escluse dal contratto giornalistico, investimenti in formazione e innovazione.
- L’equiparazione fra Inps e Inpgi dal punto di vista del costo contributivo riduce la competitività, l’attrattività del nostro Istituto in particolare per una gamba della strategia sindacale che oggi tutti o quasi condividono nel dibattito interno alla Fnsi: l’allargamento dell’occupazione. Non attraverso la improbabile creazione di migliaia di posti di lavoro nuovi, ma appunto attraverso la regolarizzazione contrattuale, e quindi l’importazione nella gestione principale dell’Inpgi, oltre che dei precari di lungo corso, di figure che ne sono escluse ma già lavorano – e quindi già rappresentano un costo per imprese e istituzioni pubbliche e private – nel campo dell’informazione largamente intesa: addetti stampa, videomaker, blogger, social manager, ecc. Siccome questa cosa tutti diciamo di volerla, e siccome serve fra le altre cose a consolidare l’Inpgi in prospettiva, è il caso di riflettere sul fatto che proprio questa parte della manovra la rende molto più difficile.
- L’innalzamento a 66 anni dell’età per il pensionamento di vecchiaia e la progressiva abolizione di fatto delle pensioni di anzianità si incrociano, come altre misure, con una tendenza, tuttora piuttosto viva nelle aziende dell’informazione, all’espulsione delle professionalità più mature (anche attraverso la disinvolta creazione di bad company attraverso le quali liberarsi di giornalisti contrattualizzati nella vecchia maniera). Il rischio di creare progressivamente una generazione di esodati anche nella professione giornalistica non pare del tutto compensato dalla limitata incidenza delle clausole di salvaguardia. Andrebbe ipotizzata una copertura temporale più lunga per quanti si trovino alla vigilia della riforma già in Cigs, disoccupazione o contribuzione volontaria senza reddito o con redditi al di sotto dei minimi di sussistenza e rischino di non rientrare mai nel mercato del lavoro, ma che maturino fra qualche anno i requisiti per il pensionamento con il sistema attuale.
- Inoltre, se non si vogliono creare scaloni, la progressione dell’anzianità contributiva per il pensionamento a 62 anni deve essere di un anno ogni 18 mesi almeno.
- La scelta di ridefinire in modo proporzionale e non progressivo in base al reddito (cioè di fatto con un taglio flat) l’intervento sulle aliquote di rivalutazione delle pensioni comporta una incidenza molto più pesante sulle fasce giovanili della categoria. Il presidente Camporese ha in parte spiegato, nell’incontro con la Giunta e le Associazioni regionali, che tagliare le aliquote di rivalutazione colpirà inevitabilmente meno chi è a buon punto della carriera o a fine carriera (per l’ovvia ragione che il taglio toccherà solo pochi anni del calcolo sulla maturazione dell’assegno). Ma non basta: le retribuzioni degli ultimi anni, per effetto degli interventi di raffreddamento degli scatti e degli aumenti fatti in occasione degli ultimi rinnovi contrattuali, e per effetto della crisi che fra l’altro rallenta le promozioni alle qualifiche superiori e congela o cancella gli integrativi, sono sistematicamente più basse. Il taglio flat quindi, sommando le due criticità, rischia di produrre nei fatti un intervento progressivo a rovescio a sfavore della fasce di reddito basse e medio-basse.
- Una riflessione la merita probabilmente anche l’intervento di solidarietà richiesto ai pensionati, al netto degli eventuali ostacoli che in futuro la giurisprudenza potrebbe opporre. Occorre considerare, innanzitutto, che si parla di assegni per i quali la legge ha bloccato da anni i meccanismi di rivalutazione (per i quali solo ora è prevista dal Governo una parziale compensazione in seguito alla nota sentenza della Corte costituzionale). Inoltre, l’intervento di legge per il contributo di solidarietà a carico delle cosiddette pensioni d’oro, che si propone di prorogare per un quinquennio, ha una sua logica di forte progressività nelle aliquote di penalizzazione, che vengono qui riproposte: 6, 12, 18% e nella base di penalizzazione che sono gli assegni oltre i 90mila euro l’anno circa. L’estensione di tale contributo alle pensioni di importo inferiore, con aliquote dello 0,5, 1 e 1,5%, andrebbe forse ripensato almeno attraverso l’adozione di una fascia di esenzione totale, con l’esclusione del taglio per tutte le pensioni del primo scaglione, da zero a 30mila euro.
- In una fase di grave caduta della credibilità delle istituzioni in genere, di quelle della categoria in particolare, e di crisi sempre più pesante del settore dell’informazione, è impensabile che non si intervenga – nella piena autonomia dell’Istituto, ovviamente, ma con la tempestività, l’intelligenza e la sensibilità politica che i tempi impongono – sugli organismi pletorici, sui compensi degli eletti e sui costi generali dell’Inpgi, compreso il costo del lavoro fisso e le premialità, mentre si compie un intervento di taglio sulle pensioni in essere con il contributo di solidarietà (Consulta permettendo), sulle retribuzioni attuali con l’aumento contributivo a carico dei colleghi, sulle retribuzioni future con la prevedibilissima resistenza degli editori a qualsiasi ipotesi di adeguamento dopo che si è aumentato il costo del lavoro, sulle pensioni future attraverso la ridefinizione delle aliquote di rivalutazione.
- Il documento sulla riforma non affronta la questione degli accertamenti ispettivi e delle risorse che si possono recuperare da essi. Anche su questo punto va assunta una decisione “politica” dalla quale discendono poi tutte le valutazioni tecniche del caso: si sente affermare che a fronte di difficilissime situazioni contabili, sull’orlo del fallimento, l’Inpgi evita di caricare quell’azienda anche di ulteriori ingiunzioni di pagamento che la porterebbero alla chiusura. Ma tra morosità, sospensione degli accertamenti e mancate ispezioni si rinuncia a una quota delle entrate. È un tema di natura sindacale prima ancora che pensionistica che andrebbe affrontato in sede Fnsi.
- Un capitolo a parte riguarda l’Inpgi 2 e le prestazioni che è in grado di fornire nel futuro a quanti stanno versando. Il rischio, molto concreto viste le proiezioni al riguardo, è che per il meccanismo di calcolo previsto dalla legge (contributivo pro-rata) molti dei colleghi che oggi versano non avranno una pensione dall’Inpgi 2 a fine attività lavorativa o comunque avranno un assegno irrisorio. Andrebbe allora seriamente discussa la possibilità di aprire il secondo pilastro della previdenza (quello del Fondo di previdenza complementare) non sono solo ai collaboratori coordinati e continuativi ma anche a quelli a partita Iva, per offrire loro la possibilità di integrare il futuro assegno pensionistico con rendimenti molto più significativi e non fissati per legge. Andrebbero poi concretizzate la definizione dell’intervento preannunciato dal presidente Camporese in materia di copertura sanitaria, e la possibile adozione di un ammortizzatore sociale simile alla dis-col introdotta dal Jobs Act.
4. Alcuni quesiti rivolti ai vertici dell’Inpgi
- L’intervento sulle aliquote di rendimento (pag. 6) esclude quella che incide sulle quote di retribuzione più alte, oltre gli 84mila euro. Qual è la ragione contabile, giuridica o politico-sindacale di questa tutela particolare per la fascia più alta di reddito?
- Senza la proiezione del risparmio voce per voce (in questo caso specifico aliquota per aliquota) è impossibile, o rischia di assumere il carattere di un passatempo da bar, formulare ipotesi alternative sostenibili, magari in senso più progressivo in ragione del crescere dei redditi, di intervento sul rendimento pensionistico. Dal momento che la necessità di disporre di tali dati era stata anticipata in occasione dell’incontro del Cda Inpgi con la Giunta della Fnsi e le Associazioni di stampa regionali, non possiamo che ribadire la richiesta di una piena disponibilità dei dati in base ai quali sono state definite le proposte, in forma schematica e comprensibile, analoga a quella delle tabelle già diffuse.
- Le proiezioni sui risparmi, nel documento reso disponibile, sono in genere dispiegate fino ai dieci anni. Quelle del complesso degli interventi proposti su vecchiaia, anzianità e aliquote (pag. 8) invece si fermano ai 5 anni. Qual è l’impedimento materiale a fornire il dato sullo schema degli altri risparmi? Inoltre, lo si ribadisce anche per questa tabella complessiva, per una piena comprensione delle ragioni che stanno alla base delle scelte formulate occorrono i dati disaggregati per ciascuna voce.
- Anche per una corretta valutazione dei risparmi che si prevedono a carico delle pensioni in essere, le proiezioni devono essere rese disponibili con i dati disaggregati per ciascuna fascia di reddito, non solo con i dati, che pure sono stati lodevolmente resi pubblici sul sito della Fnsi, relativi al peso dei tagli sulle tasche degli interessati divisi per scaglioni.
- Quale impatto finanziario avrebbe un prolungamento oltre il biennio (esempio: un raddoppio) della clausola di salvaguardia se limitata alla platea di quanti, espulsi dal mercato del lavoro in seguito a chiusure e liquidazioni di aziende, non vi sono mai rientrati e non vi rientreranno, sono passati o passeranno dalla disoccupazione alla contribuzione volontaria, senza reddito o con redditi inferiori alle soglie minime di povertà considerate dagli istituti statistici?
- Quali misure sono state elaborate per intervenire in modo strutturale sui costi generali, il costo degli organismi e il costo complessivo del lavoro e dei benefit dell’Istituto in un prospettiva di sostenibilità di lungo periodo? E cosa impedisce di legare tali misure alla manovra proposta sulle prestazioni e sulla contribuzione?
- Ci sarà poi l’impatto sui conti dell’Inpgi relativo alla dismissione obbligatoria di una parte del portafoglio immobiliare, richiesto da un imminente provvedimento del governo. Perché questa voce non è stata presa in considerazione almeno per valutarne gli effetti sul bilancio?
- La limitazione reddituale dell’assegno di superinvalidità (pag. 3) al minimo contrattuale del redattore ordinario su quanti colleghi interverrebbe e in quale rapporto percentuale con i titolari di pensione diretta? E si tratta, a quanto pare di capire, di una misura retroattiva. È corretto?
- Nel paragrafo sul ricovero nelle case di riposo (pag 3) è ripetuto presumibilmente per errore il testo relativo all’assegno di superinvalidità, mancano le indicazioni sull’intervento in parola.
- Sulla indennità per inabilità temporanea (pag. 4), provvedimento a carattere eccezionale riservato a una nicchia di colleghi in condizione di particolare difficoltà, la proposta di sospensione non è giustificata da ragioni contabili, dal momento che si dice che non è prevista alcuna erogazione di tale misura. Quali sono allora le ragioni della sospensione proposta?