ROMA – Apple e Google hanno rimosso l’applicazione di LinkedIn per i dispositivi mobili dai loro “app store” in Russia, su richiesta del governo di Mosca. La decisione, spiega “Recode”, giunge dopo il blocco del social network per professionisti imposto dal Cremlino per la violazione della legge approvata nel 2014 in virtù della quale le aziende attive in Russia devono immagazzinare i dati personali in server presenti sul territorio della Federazione.
La disputa era iniziata lo scorso ottobre, quando il Roskomnadzor, l’autorità russa delle telecomunicazioni, aveva ottenuto da un tribunale un’ingiunzione nei confronti della compagnia statunitense (rilevata da Microsoft lo scorso giugno per 26,2 miliardi di dollari), che conta 5 milioni di utenti in Russia.
A complicare la situazione, aveva spiegato al “Moscow Times” un funzionario dell’autorità, Vadim Ampelonsky, è l’assenza di un rappresentante della società in Russia, laddove altri social network, come Facebook e Twitter, hanno un delegato nel territorio della federazione che incontra almeno due volte all’anno il Roskomnadzor per fare il punto sui sistemi di protezione dei dati.
Più che nel peggioramento delle relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e Russia, la vicenda andrebbe contestualizzata nella crescente preoccupazione di numerosi governi nazionali per la vulnerabilità dei sistemi di stoccaggio dei dati di molte società di internet.
La Russia non è, infatti, certo l’unico Paese a stabilire che i dati personali vadano immagazzinati sul proprio territorio. Precauzioni simili, seppure riguardanti solo determinate categorie di dati, sono infatti in vigore in Australia, Canada e Svizzera. Più complesso il caso dell’Unione Europea, dove il Regolamento generale sulla protezione dei dati adottato nell’aprile 2016 consente, in alcuni casi, di immagazzinare i dati personali fuori dalla Ue, a patto che vengano rispettate determinate garanzie sulla privacy.
LinkedIn, da questo punto di vista, non ha un’ottima fama, dato il furto delle credenziali di sei milioni di utenti avvenuto nel 2012. Per ironia della sorte, lo scorso ottobre un cittadino russo era stato arrestato in Repubblica Ceca con l’accusa di essere l’hacker responsabile della violazione. (agi)