ROMA – Il 10 maggio è passato sotto tono, per la convulsa situazione internazionale ed altre beghe, il centenario della nascita di Antonio Ghirelli, giornalista e raffinato scrittore dai poliedrici interessi, nato a Napoli e scomparso novantenne a Roma, dove si era da tempo trasferito, il 1° aprile del 2012.
Giornalista schierato, ma profondamente onesto ed alieno dalla faziosità da “curva Sud”, lui che di calcio era un appassionato e che, tifoso napoletano, aveva diretto il torinese Tuttosport, riscuoteva unanime apprezzamento professionale, anche da chi non condivideva le sue idee politiche.
Dopo gli esordi sulla stampa dei Guf, aveva partecipato alla lotta di liberazione. Era stato comunista ed aveva lavorato per l’Unità e Paese Sera; poi, dopo l’invasione sovietica dell’Ungheria (corsi e ricorsi storici…), nel 1956, aveva abbandonato il Pci ed era entrato nel Partito socialista italiano.
Appassionato di calcio, ha lavorato per tutti e tre i quotidiani sportivi italiani, e due, Tuttosport e Corriere dello Sport, li ha anche diretti. È stato anche direttore del quotidiano economico-politico Il Globo e dell’organo ufficiale del Psi, Avanti!, oltre che del Tg2. È stato capo ufficio stampa del Quirinale nei primi due anni della presidenza Pertini; in seguito è stato capo ufficio stampa della presidenza del Consiglio nei governi Craxi.
Fra le sue passioni (alle quali ha dedicato articoli, saggi, libri), insieme con lo sport e la politica, vanno ricordati Napoli e la napoletanità. Fra i suoi libri più importanti una pionieristica “Storia del calcio in Italia”, una più volte ristampata ed aggiornata “Storia di Napoli”, e poi “Effetto Craxi. Profilo di un nuovo leader”, “Caro Presidente. Due anni con Pertini”, “Moro tra Nenni e Craxi. Cronaca di un dialogo tra il 1959 e il 1978”, “Donna Matilde. La Serao, «a signora» di Napoli, la prima donna che diresse un quotidiano”, “Tiranni. Da Hitler a Pol Pot: gli uomini che hanno insanguinato il novecento”, “Un secolo di risate. Con Eduardo Totò e gli altri”, “Democristiani. Storia di una classe politica dagli Anni Trenta alla Seconda Repubblica”, “Aspettando la rivoluzione. Cento anni di sinistra italiana”, “Una certa idea di Napoli. Storia e carattere di una città (e dei suoi abitanti)”.
Ho incrociato, a distanza, Antonio Ghirelli ai primordi della mia vita giornalistica romana. Nel marzo del 1975, dietro vaghe promesse di assunzione (di “ricevere la lettera”, come si diceva allora), cominciai a frequentare da abusivo la redazione del quotidiano Il Globo.
Fondato nel 1945 come quotidiano economico-politico romano da Luigi Barzini, era stato rilevato da Confindustria e poi nel 1972 dal petroliere Moratti, con l’appoggio ed il sostegno dell’Eni. A dirigerlo fu chiamato proprio nel 1972 Ghirelli, fino a quel momento noto soprattutto come brillante giornalista sportivo e cultore della napoletanità, direttore del Corriere dello Sport.
Nel 1974, però, venuto meno il sostegno dell’Eni, Moratti pensa di disfarsi del giornale: chiuderlo lui non è conveniente, vuol conservare una immagine di vincente; e allora nel dicembre 1974 lo cede ad un prestanome, il tipografo Gino Lanzara, già proprietario di un semi-clandestino quotidiano economico-finanziario, Ore 12, che avrà il compito di massacrarne la redazione e portarlo alla chiusura.
Ghirelli si dimette dalla direzione, che viene assunta in prima persona da Lanzara; la sede viene trasferita da piazza Indipendenza a via Tomacelli. Che, come le strade adiacenti, viene invasa da scritte con bombolette spray “Lanzara killer”.
Quando ci arrivo io un gruppetto di giornalisti di qualità se n’è andato, e fra quelli rimasti il rimpianto di Ghirelli è forte. Tutti ne parlano come di un direttore capace e gran signore, rispettato ed autorevole quanto basta ma non autoritario, e difensore dei diritti dei redattori. Tutto il contrario di Lanzara. Sono stato sfortunato, sono arrivato con tre mesi di ritardo. Dopo quattro mesi circa di lavoro nero, visto che la famosa “lettera” non arriva, e non mi pagano nemmeno da abusivo, mando Il Globo e Lanzara a quel paese e me ne vado. Sta arrivando l’estate, il richiamo del mare e di Taranto è forte. E di lavorare gratis non ho mai avuto la minima voglia. Due anni dopo Lanzara strozza definitivamente Il Globo.
Ghirelli lo “ritrovo” quando, nel 1978, Pertini viene eletto presidente della Repubblica e lo chiama al Quirinale come capo ufficio stampa. Io nel frattempo sono stato assunto come praticante all’Asca, poi alla Gazzetta del Mezzogiorno, redazione di Taranto, sono diventato professionista e sono tornato a Roma. Pertini è un presidente molto popolare, ma anche imprevedibilmente brusco, e Ghirelli ha il suo da fare per cercare di moderare l’impatto di certe sue uscite, se non di silenziarle tout court.
Pertini, come noterà il segretario generale del Quirinale nei suoi anni, Maccanico, “dev’essere protetto dal suo carattere”. Rispetto ad altri capi ufficio stampa, Ghirelli deve paradossalmente cercare di “non” far parlare del suo datore di lavoro. E ci riesce molto bene, fino ad un fatale incidente:
Pertini è in visita ufficiale in Spagna quando esplode il caso Cossiga – Donat Cattin: un terrorista di Prima linea insinua che Cossiga, all’epoca presidente del Consiglio, si sarebbe reso responsabile di favoreggiamento nei confronti di Marco Donat Cattin, terrorista e sospettato di essere l’assassino di un magistrato (sospetto poi divenuto certezza, si trattava di Emilio Alessandrini, il gruppo di fuoco era composto da Sergio Segio e Marco Donat Cattin, che in sede processuale ottenne uno sconto di pena perché “dissociato”, coadiuvati da altri tre terroristi), figlio del ministro del Lavoro Carlo.
In realtà, come risultò da successivi accertamenti, Cossiga si era “limitato”a suggerire a Carlo Donat Cattin di far costituire il figlio, che era in clandestinità. A Pertini, però, avevano fatto credere (e quella versione fu usata dal Partito comunista per chiedere l’incriminazione di Cossiga, respinta dal parlamento) che il capo del governo avesse invitato il suo ministro a far espatriare il figlio.
Pertini sbottò, come era solito fare, che se la notizia fosse stata confermata Cossiga si sarebbe dovuto immediatamente dimettere ed avrebbe dovuto affrontare il giudizio davanti alla Corte costituzionale: dichiarazione che arriva ai giornali e scatena il finimondo.
Il segretario della Democrazia cristiana, Flaminio Piccoli, rilascia una durissima dichiarazione per l’indebita invasione di campo istituzionale di Pertini. Al quale viene offerta in segno di pacificazione la testa di Ghirelli, indicato quale responsabile della diffusione delle frasi di Pertini. Ghirelli si assume ogni responsabilità, e lascia il prestigioso incarico senza alcuna recriminazione.
Fra noi giornalisti della Sala stampa italiana e fra i cronisti parlamentari l’impressione fu enorme, e grandissima la stima per un collega che, per “coprire il Quirinale”, come ci insegnavano un tempo fosse doveroso fare, si era assunto, pagando di persona, la “colpa” di frasi che Pertini, peraltro, aveva effettivamente pronunciato.
Non era usuale, questo senso di responsabilità. Ancor meno usuale, e si cominciò a sospettarlo, poi ad averne conferma, solo in seguito, che Ghirelli si fosse assunto responsabilità non sue, per salvare un inesperto collaboratore dell’ufficio stampa, che era il vero responsabile della diffusione delle espressioni poco protocollari di Pertini. E la stima e l’ammirazione nei confronti di Ghirelli crebbero a dismisura.
Non molti avrebbero compiuto un simile atto di solidarietà. E tutti glielo riconoscemmo come uno splendido tratto caratteriale. Che fosse un rimarchevole giornalista ed un eccellente professionista lo aveva già dimostrato. In quell’occasione dimostrò di essere anche un grande uomo. (giornalistitalia.it)
Giuseppe Mazzarino