COSENZA – Il film degli eventi scorre veloce come allora, dieci anni fa successe una cosa che faremmo meglio a non dimenticare. Gennaio del 2006, il giorno 17. Una fila rumorosa di giornalisti si accalca nel palazzo del potere aspettando di poter accedere nella sala del consiglio comunale: quella mattina faranno cadere il sindaco donna dal suo scranno e una lunga pagina di storia della città potrà terminare. I fari della stampa nazionale sono puntati da mesi su Cosenza e sul suo primo cittadino.
Uno di quei giornalisti non dovrebbe essere lì, è il suo giorno di riposo, ma da buon caposervizio alla cronaca cittadina non vuole lasciare la sua squadra in balìa degli eventi. Il tempo di sfilare il tesserino dell’Ordine dal borsello e lo vedono accasciarsi al suolo. Non c’è niente da fare, Antonino Catera del “Quotidiano della Calabria” muore d’infarto in pochi istanti a 49 anni sui marmi di palazzo dei Bruzi, sede del municipio di Cosenza.
La tragedia del giornalista svela la miseria umana del potere. Mentre il corpo di Antonino rimane sul marmo senza vita, infatti, i politici, timorosi che un rinvio potesse cambiare le carte in tavola al loro gioco, iniziano ufficialmente la discussione. Si chiede la sfiducia al sindaco in un clima irreale, a una manciata di metri dal dramma umano. La seduta verrà sospesa solo dopo lunghe e imbarazzanti polemiche. Uno dei momenti più bassi del rapporto fra potere politico e stampa in Italia, tanto che la vicenda fece parlare di sé per molti giorni, anche su testate nazionali. Negli anni successivi arrivò l’intitolazione di alcune sale importanti della città al giornalista scomparso e si attende che alla sua memoria venga intitolata anche una strada nel suo paese nativo, San Pietro in Guarano.
Ma quello che non va dimenticato è anche e soprattutto l’esempio di Catera, un giornalista buono prima che un buon giornalista. Antonino era il collega che non amava i riflettori e che spegneva per ultimo le luci in redazione, telefonando agli amici a tarda notte per non perdere il contatto con un mondo che andava a ritmi diversi da quello di una redazione giornalistica. La malattia del giornalismo lo colpì molti anni prima, durante gli studi di Medicina a Parma. Erano anni molto diversi da questi, la sistemistica computerizzata era diventato il fenomeno di massa e Antonino, grande appassionato di sport, si dimostra subito un mago.
Prima le collaborazioni con “I Concorsi”, poi il settimanale a tiratura nazionale “Colonna Vincente”, dove arriverà al ruolo di redattore capo. Di fatto tutte le domeniche si fingeva inviato dai campi di Serie A e Serie B scrivendo e impaginando articoli e servizi. Ben presto questa passione divenne una coraggiosa scelta di vita e dalla farmacia di famiglia approdò alla redazione centrale del “Quotidiano della Calabria” dove si occupò di sport per più di dieci anni; poi, in un periodo particolare per la vita del giornale, viene investito del prestigioso ruolo di caposervizio alla cronaca cittadina.
Interpretò il suor ruolo di responsabilità con modi da fratello maggiore, restando sempre dietro le quinte. Ma la sua morte sul lavoro si prese la scena, lasciando un vuoto incolmabile ma anche molti insegnamenti. Da amante della grafica, tra fu tra i primi a strizzare un occhio al metodo della fotonotizia, lottò sempre per trovare spazi a pagine speciali aperte alla società civile e applicò i toni irriverenti alla cronaca politica locale, volendo rubriche come “Spifferi”. Ma, soprattutto, è stato un collega buono e gentile con tutti, avviando decine e decine di ragazzi al ruolo del collaboratore, sempre pronto ad assistere nuovi praticanti e a raccontare la sua esperienza ai più giovani. Teneva moltissimo alle visite delle scolaresche in redazione, anche se aveva finito tardi si presentava la mattina dopo a guidarli per la redazione dicendogli: “è bello fare il giornalista”. (mmasciata.it)
S. Alfredo Sprovieri
Ho avuto la fortuna di conoscere Antonino, uomo schivo, educato e rispettoso. Una delle prime a ricevere la brutta notizia, una delle prime a versare lacrime di dolore per la perdita. A distanza di tanti anni è sempre presente nelle mie preghiere, è fra quelle persone che ricordo e ringrazio per avermi insegnato l’onestà e il valore del servizio nel sociale.