ROMA – L’Isis è “un virus” e va “annientato”: Anonymous e la Giordania uniscono le spade e sferrano un attacco micidiale contro lo Stato islamico, costretto ora a fare i conti con una rete online “sbranata” dagli hacktivisti e una capacità militare sul campo “ridotta del 20%”, con 56 obiettivi distrutti in soli tre giorni.
“Attaccheremo e metteremo offline tutti i siti della galassia jihadista”, avevano promesso gli hacker anonimi all’indomani della strage di Charlie Hebdo.
Nelle scorse settimane la “chiamata alle armi” della Legione – come si definiscono – per lanciare l’assalto frontale contro la galassia jihadista. Alle parole sono seguiti i fatti: i social network sono stati inondati dal “Tango Down” dei siti jihadisti oscurati, violati, modificati. Poi gli account, centinaia, di Twitter e Facebook, anche questi attaccati e messi offline.
Infine la “gogna” pubblica, con la pubblicazione online di una lunga lista di indirizzi ip e email, che ogni ora si aggiorna con nuovi bersagli e obiettivi “centrati”.
La Giordania intanto, colpita al cuore dopo la barbara esecuzione del pilota Moath al Kassasbeh, bruciato vivo dopo la tragica pantomima del negoziato per il suo rilascio – fonti concordanti ritengono sia stato ucciso a inizio gennaio –, sgancia sulle teste dei terroristi le bombe con i messaggi di morte.
Il bilancio di tre giorni di rappresaglia, almeno secondo Amman, è sorprendente: il “20% della capacità militare dell’Isis” è stato distrutto, 56 gli obiettivi colpiti. “E’ solo l’inizio”, aveva ammonito il Regno.
E la Giordania continuerà la sua offensiva contro l’Isis finché il gruppo “non sarà annientato”, ha tuonato oggi il comandante delle Forze aeree giordane, Mansour Jbour. “Continueremo i raid, ma in linea con i nostri piani operativi”, ha aggiunto il militare senza precisare meglio.
Dall’inizio dei raid della Coalizione, “sono stati uccisi 7.000 combattenti dell’Isis”. Amman ha reagito con durezza anche alle accuse dei jihadisti, secondo i quali l’americana in ostaggio Kayla Mueller sarebbe morta sotto i raid giordani. “Si tratta di affermazioni illogiche, e siamo assai scettici. La loro è solo propaganda”, ha detto il ministro delle Comunicazioni, Mohammad Momani.
Agli osservatori la mossa dell’Isis è apparsa debole, con l’organizzazione oramai in difficoltà anche sul piano interno, con la difficoltà a ottenere rinforzi, anche da parte dei foreign fighters. E i bombardamenti pesano anche sul morale interno: nei ranghi dello Stato islamico sembra prevalere il timore di essere tracciati e colpiti. Tanto che, a seguito della direttiva emanata a novembre scorso, i miliziani dell’Isis a Raqqa, “capitale” del Califfato in Siria, hanno effettivamente bandito i prodotti Apple – iPhone, iPad e iPod –.
“Dicono che gli Usa possono vedere quello che fai”, racconta uno degli attivisti anti-Isis di Raqqa. A Mosul, intanto, tanti affiliati dell’Isis hanno mandato via le famiglie, mentre i peshmerga si avvicinano alla “capitale” dello Stato islamico e la sua riconquista – con o senza gli americani sul terreno – sembra solo questione di tempo. (Ansa)
La campagna lanciata dopo la strage Charlie Hebdo. Violati centinaia di account