MOSCA (Russia) – Anna Politkovskaya era una giornalista di inchiesta nota per i suoi reportage dalla Cecenia, in cui non aveva lesinato critiche al presidente Vladimir Putin per la condotta della guerra. Nata a New York nel 1958, ma cresciuta a Mosca, si era laureata in giornalismo nel 1980 e aveva sposato un collega, Alexander Politkovsky, da cui poi si separa; hanno ha due figli: Vera e Ilya. Anna aveva lavorato per diverse testate russe, tra cui le “Izvestia”: dal giugno del 1999 scriveva per la “Novaya Gazeta”, una voce dell’opposizione.
Durante la prima missione in Cecenia, nel 1998, la Politkovksaya riuscì a intervistare l’allora presidente Aslan Maskhadov. Da allora aveva seguito con forti accenti critici verso il Cremlino l’evoluzione della seconda guerra in Cecenia, iniziata nell’ottobre del 1999, e le fasi successive dell’occupazione russa. Nel febbraio del 2001, venne arrestata nella Cecenia meridionale ed espulsa con l’accusa di aver violato le norme sulla copertura giornalistica del conflitto, imposte da Mosca.
Il suo volto divenne noto nell’ottobre del 2002, quando tentò di mediare nella crisi del teatro Dubrovka di Mosca, dove un gruppo di guerriglieri ceceni prese in ostaggio oltre 700 persone. Le trattative furono vanificate dall’intervento delle forze speciali russe che uccisero tutti i sequestratori, ma anche 90 ostaggi, colpiti da una dose letale di una gas segreto, usato per stordire i guerriglieri all’interno dell’edificio.
Nel settembre del 2004, durante la crisi della scuola di Beslan, dove un gruppo di guerriglieri ceceni prese in ostaggio 1.200 persone, la Politkovskya fu colpita da un sospetto caso di avvelenamento. Dopo aver bevuto un tè sull’aereo che la stava portando nella cittadina dell’Ossezia settentrionale, dove si era offerta come mediatrice, perse conoscenza. In quel caso l’intervento delle forze speciali russe provocò quasi 400 morti, di cui la metà bambini.
Il 7 ottobre 2006 (giorno del compleanno di Vladimir Putin), Anna venne assassinata nell’ascensore del suo palazzo a Mosca, mentre stava rincasando. Uno dei proiettili la centrò in testa. La giornalista stava per pubblicare un’inchiesta sulle torture commesse dalle forze, legate al primo ministro della Repubblica di Cecenia, Ramzan Kadyrov. Putin promise un’inchiesta indipendente, mentre la Novaya Gazeta affermò che non vi erano dubbi che si trattasse di un omicidio politico.
Sempre nel 2006, a Londra morì – avvelenato da polonio 210 – l’ex spia del Kgb, Alexander Litvinenko: da tempo indagava sull’assassinio della reporter anti-Cremlino. Due anni dopo, Dmitry Medvdev prese il posto di Putin alla guida della Russia, mentre l’ex presidente assunse la carica di primo ministro.
Per la morte della Politkovskaya sono stati condannati sei uomini, tra killer e organizzatori. I sospettati sono stati sempre considerati dei semplici esecutori, mentre i mandanti rimangono tuttora nell’ombra. Nel frattempo, la lunga scia di sangue iniziata con l’assassinio di Anna si è allungata con nuove vittime: l’avvocato per i diritti umani civili, Stanislav Markelov, e la giornalista 25enne Anastasia Baburova, entrambi freddati nel centro di Mosca, il 19 gennaio 2009.
Natalia Estemirova, amica di Anna, attivista dell’Ong Memorial in Caucaso, rapita e trovata morta in Inguscezia sempre nel 2009. E infine, l’ex vice premier diventato oppositore di Putin, Boris Nemtsov, freddato al centro di Mosca nel 2015.
La figlia della Estimirova, Lana, ha ricordato così sul Guardian l’amica della madre: “La forza trainante di Anna era la compassione, il suo superpotere. La compassione le ha fatto trascorrere ore al freddo gelido, portando acqua agli ostaggi della Dubrovka. La compassione era la ragione per cui Anna è salita sul primo aereo per Beslan per seguire il sequestro della scuola. Era fiera, caparbi e forte. È stata inarrestabile fino alla fine”. (Agi)