Dove la giornalista Politkovskaya non è solo un ricordo: “Ci ha aperto gli occhi”

Anna e la speranza delle mamme di Beslan

A 10 anni dalla strage le mamme di Beslan attendono ancora giustizia

Le mamme di Beslan sperano ancora nella giustizia grazie al coraggio di Anna Politkovskaya

BESLAN (Russia) – Per entrare a Beslan dall’aeroporto Vladikavkaz si passa a fianco a un cimitero di tombe tutte uguali, in marmo rosa, e tutte con la stessa data di morte: 3 settembre 2004. È il giorno del blitz alla scuola n° 1, dove per tre giorni un commando di terroristi che chiedeva il ritiro dell’esercito russo dalla Cecenia, ha tenuto ostaggio nella palestra 1.127 tra parenti e bambini, arrivati il primo settembre per l’inaugurazione dell’anno scolastico.
Beslan – dove nell’irruzione delle teste di cuoio russe sono morte 334 persone, di cui 186 bambini – è stato uno degli ultimi casi seguiti dalla giornalista Anna Politkovskaya, prima di essere uccisa a Mosca il 7 ottobre, 2006. “Si sentiva in colpa per non essere potuta arrivare in tempo da noi”, racconta ad Agi Ella Kesaeva, a capo dell’associazione “Golos Beslana” (la voce di Beslan), che riunisce diverse mamme che furono ostaggio, in quei tragici giorni e hanno assistito impotenti alla morte violenta dei propri figli. La vittima più piccola aveva tre anni.
beslan_10La Politkovskaya, allora, aveva preso il primo volo per Beslan, ma sull’aereo era stata avvelenata dal tè servitole da un hostess. “È un miracolo che sia ancora viva, raccontava sempre Anna Stepanovna”, ricorda Ella, che ha incontrato la giornalista per la prima volta a Mosca, in una conferenza. “La Politkovskaya è arrivata a Beslan nel 2014 solo ad autunno inoltrato, faceva davvero freddo”, dice Zifa Agaeva che durante il sequestro ha allattato diversi bambini al seno, pur di farli sopravvivere. La Politkovskaya ha scritto dei lei, della sua storia: questa donna ha sepolto un figlio, che secondo i referti ufficiali è circonciso, come da tradizione musulmana, ma la famiglia Agaev non è di fede islamica. “Non sappiamo chi abbiamo sepolto, io credo che mio figlio debba ancora tornare. Lo continuo ad aspettare”, piange questa mamma, arrivata a una delle riunioni che periodicamente si svolgono a casa di Ella, in una stanza convertita a ufficio dell’associazione.
Le foto dei cari rimasti uccisi, libri di diritto e faldoni di documenti, istanze, referti, verdetti riempiono la piccola camera di questa minuta ma indomabile donna, che da un giorno all’altro si è trovata ad avere a che fare con procuratori, deputati, giornalisti e servizi segreti; a dover capire di diritto internazionale, Costituzione, balistica.
“Eravamo – ricorda – come cieche, non sapevamo cosa fare. Anna ci ha aperto gli occhi, ci ha avvertite che dai tribunali russi non avremmo mai ottenuto giustizia, perché nella strage erano coinvolte persone troppo in alto, ci ha spiegato che avevamo una sola strada: la Corte europea dei diritti dell’uomo. Da allora, ha continuato a ripeterci come un mantra: Strasburgo, Strasburgo, Strasburgo!”.
“I terroristi hanno fatto quello che hanno fatto, ma nessuno ai vertici dello Stato, tra esercito e servizi segreti, è stato indagato, vogliamo conoscere le loro responsabilità”, spiega la Kesaeva. Sua figlia è riuscita a scappare durante il blitz e ora vive a Mosca, ma i suoi due nipoti adolescenti e il marito della sorella non ce l’hanno fatta. Il cognato, Ruslan Betrozov, è stato l’unico a essere fucilato dal commando, il primo giorno della crisi, davanti agli occhi dei figli.
beslan“Abbiamo seguito il consiglio di Anna Stepanovna, ci siamo fidati di lei, emanava un’autorevolezza che non avevano altri, arrivati a seguire la storia di Beslan, aveva preso a cuore la nostra causa, si rivolgeva a noi come da mamma e non solo da giornalista”, continua il suo racconto Ella, aggiungendo che alla notizia del loro appello alla Corte di Strasburgo, le autorità russe hanno reagito “con perquisizioni e pressioni sull’associazione”.
La Politkovskaya aveva promesso che sarebbe andata a testimoniare, ma non ha fatto in tempo. La Kesaeva ricorda bene il momento in cui ha appreso dell’omicidio di Anna e si commuove come quando ricorda i suoi cari uccisi. “Ero qui a casa, è stato un colpo terribile, come se fosse morto un parente. Non riuscivo a smettere di piangere”.
Solo nel 2014, infatti, la Corte Corte europea dei diritti dell’uomo ha ascoltato i ricorsi presentati da 447 dai parenti delle vittime di Beslan per far luce sulle eventuali responsabilità del governo russo. Strasburgo ha accolto quasi tutti i punti cardine del ricorso, tra cui la violazione degli obblighi di Stato come il diritto alla vita. È stato riconosciuto l’impiego di lanciagranate e lanciafiamme durante il blitz delle forze speciali. La Corte ha riconosciuto anche l’inesistenza di prove riconducibili ai terroristi per le esplosioni verificatesi nella scuola e che ufficialmente hanno fatto scattare il violento blitz.

Ella Kesaeva

Ella Kesaeva

“Strasburgo è l’unica nostra speranza di trovare la verità”, conclude Ella e “lo dobbiamo solo ad Anna. Sul tema di Beslan voleva ancora fare tanto”, conclude la Kesaeva. Le mamme di Beslan auspicano per il 2017 il verdetto della Corte europea dei diritti dell’uomo e sono già sicure: “In quel momento ricorderemo ancora una volta il contributo di Anna”.
Intanto sono loro a essere finite in tribunale, per via di una protesta organizzata durante l’ultimo anniversario del massacro. Cinque di loro, tra cui Ella, si sono presentate alla scuola indossando una maglietta con scritto “Putin, boia di Beslan”. Il gesto, frutto dell’esasperazione di anni di indifferenza e mancanze di risposte da parte delle autorità, è costato loro interrogatori e una condanna per offesa a pubblico ufficiale. Oggi è prevista la seduta per il ricorso che hanno presentato contro il verdetto di colpevolezza nei loro confronti. (Agi)

 

 

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