ROMA – Dietro le guerre ci sono altre guerre, collaterali e di riflesso. Comprese quelle che combattono gli operatori dell’informazione, tra mille difficoltà logistiche, con la morte dietro l’angolo, consapevoli di non poter descrivere solo i fatti che costituiscono la punta di un iceberg di notizie e dati acquisibili o divulgabili dalle parti contendenti, e non solo per motivi strategici.
Le “arti diplomatiche” registrano da anni pericolose cadute di tono e spessore e nel mondo si susseguono conflitti, violenze, privazioni, sopraffazioni, recrudescenza di crimini in violazione di trattati e accordi.
In Ucraina la situazione che ha determinato uno scenario di guerra è iniziata da tempo, dal 2014, e proprio in quell’anno a pagare il tributo fu anche il giornalismo italiano, con l’uccisione di Andrea Rocchelli. Freelance trentenne, il 24 maggio 2014 è stato ucciso ad Andreevka, assieme al collega russo Andrei Mironov, da un colpo di mortaio sparato dall’esercito ucraino mentre stavano documentando gli scontri nel Donbass. Una storia quasi dimenticata sino a qualche giorno fa, ma che merita certo di non cadere nell’oblio.
Dietro le guerre ci sono interessi economici enormi, segreti di Stato, manie di imperialismo, intolleranza, anche follia. “Nessuna guerra è giusta”: lo affermava mezzo millennio fa Erasmo da Rotterdam, che fu peraltro il primo europeista, nel suo testo “Il lamento della pace”. Ma la storia ci insegna che a pagare sono spesso i giusti.
L’azione militare russa in Ucraina, tra le tante vittime civili, fa contare già vittime tra i giornalisti, come lo statunitense Brent Renaud e l’ucraino Victor Dudar, mentre altri sono stati feriti. E non possiamo non pensare, a pochi giorni dall’anniversario, il 28°, della barbara uccisione di Ilaria Alpi e Milan Hrovatin, non dimenticandone neppure uno tra tutti gli altri caduti nell’esercizio della loro attività, quanto la loro morte sia stata pervasa da fatti che non dovevano risultare noti per i grandi attori palesi e occulti di quella guerra civile in Somalia scoppiata nel 1991 alla caduta di Siad Barre.
Maria Grazia Cutuli, nel suo ultimo articolo, pubblicato dopo il suo assassinio in Afghanistan nel 2001, scriveva della scoperta di un deposito di gas nervino nella base di Osama Bin Laden, e non era certo un lancio di agenzia.
Il giornalista al fronte è consapevole del rischio del mestiere, ma persegue la ricerca della verità anche a costo di rimetterci la vita. Spesso, guardando un tg o ascoltando la radio o leggendo un giornale si ignora o si sottovaluta quanto e cosa costa in termini di esposizione a chi fornisce queste notizie, non si ha contezza del “peso” di quella informazione.
Ecco perché ai giornalisti inviati in zone di guerra più che ad altri deve andare il ringraziamento per il loro lavoro, a volte curato con mezzi di fortuna o nei rifugi, al freddo e al buio. E a loro devono andare anche rispetto e solidarietà, perché sono testimoni della storia, loro malgrado, e vogliono descrivere i fatti, “per non dimenticare e per evitare che fatti simili abbiano a ripetersi”, come affermò Primo Levi in “Se questo è un uomo”. (giornalistitalia.it)
Letterio Licordari