ROMA – Detenzioni arbitrarie e un costante aumento della violenza nei confronti dei giornalisti, in particolare via Internet; pluralismo mediatico asfittico e un servizio pubblico asservito al potere (che rimane intoccabile).
Il giornalismo algerino è sotto scacco. A dirlo è l’ultimo rapporto di Reporters sans Frontières (Rsf) dedicato alla libertà d’informazione in Algeria. A pesare, denuncia l’inchiesta – che posiziona il Paese maghrebino al 129° posto su 180 nella classifica mondiale 2016 sulla libertà di stampa – oltre alle incarcerazioni pretestuose, sono le continue pressioni politiche, le intimidazioni e, soprattutto, una nuova forma di violenza: quella che viaggia sulla Rete “a opera di mercenari che, riprendendo articoli in controtendenza o critici nei confronti del potere, dileggiano e incitano all’odio. Una prassi sempre più frequente, si legge nel rapporto – in grado di scatenare commenti a catena dei lettori che, sulla pagina o sul profilo del giornalista, giungono a minacciarlo anche di morte. Dinnanzi a questa situazione, “le autorità non fanno assolutamente nulla. E peggio ancora – scrive Rsf – secondo diverse fonti, gli stessi servizi di sicurezza incoraggerebbero questo tipo di pratica”.
Se la libertà di stampa è ancora merce rara nel Paese, a mancare non sono certo le testate. Con l’avvento dei movimenti di protesta del 2011 nel mondo arabo, infatti, anche le autorità algerine avviano alcune riforme che portano a un ammorbidimento delle sanzioni (il carcere viene sostituito con ammende) e a una lieve apertura. Nel 2014 viene così modificata la legge sull’Audiovisivo e il numero di testate lievita fino a 150.
Molte di queste, o quasi tutte, per assicurarsi la pubblicità scelgono una linea piuttosto morbida nei confronti del potere. A essere meno allineate, rileva l’inchiesta, sono le testate online (web Tv e periodici) e il giornalismo diretto – dei cittadini – attraverso i social network. Il rovescio della medaglia, spiega il rapporto, è la poca chiarezza normativa che disciplina il funzionamento delle testate online e la facilità con cui le autorità possono in qualsiasi momento oscurare i siti e bloccare l’accesso alla rete. Il vero spauracchio per i giornalisti algerini è il codice penale. “Diffamazione, oltraggio e ingiuria”, ricorda Rsf, “sono reati disciplinati dal codice che prevede sanzioni da 2 mesi a 5 anni di detenzione e da 10 a 4.000 euro di ammenda”.
Fra i casi più eclatanti, quello del giornalista algerino-britannico Mohamed Tamalt corrispondente del giornale algerino El Khabar a Londra, morto l’11 dicembre scorso nel carcere di Algeri. Imprigionato il 27 giugno scorso, era stato condannato a 2 anni di detenzione per oltraggio e contro presidente algerino. Dopo uno sciopero della fame, il suo stato di salute si aggrava, riducendolo in fin di vita. In base alle accuse, Tamalt avrebbe postato video e poesie diffuse via Internet insultando il capo dello Stato. O ancora quello di Mehdi Benaissa e Ryad Hartouf, responsabili della Tv Kbc (del gruppo El Khabar), incarcerati dal 24 giugno al 18 luglio 2016 “per false dichiarazioni” in merito alle autorizzazioni per effettuare alcune riprese.
Perché le cose cambino, conclude il rapporto, serve innanzitutto l’apertura di una inchiesta in grado di stabilire la verità sulla morte di Mohamed Tamalt, che porti alla punizione dei responsabili. Rsf chiede poi “la scarcerazione di tutti i giornalisti detenuti per il solo fatto di avere esercitato il proprio diritto a informare”; che il codice penale non venga utilizzato per avallare detenzioni arbitrarie e procedure amministrative illegali e, infine, la protezione dei giornalisti dalla violenza che scorre attraverso la Rete. (ansamed).