La relazione annuale 2021 evidenzia il crollo del cartaceo. I periodici i più colpiti

Agcom, industria dei media sempre più debole

ROMA – Solo il 17,6% degli italiani si informa sui quotidiani. Lo rileva la Relazione annuale 2021 dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), presentata oggi al Parlamento, che ha preso in esame il periodo compreso tra il 1° maggio 2020 e il 30 aprile 2021. Nell’editoria quotidiana, l’Autorità per le comunicazioni nel 2020 ha censito 105 testate, per un valore complessivo di 1.103.826.466 copie (-13,4% rispetto al 2019). Anche nel 2020, nessun editore ha superato la soglia di legge stabilita al 20% della tiratura globale. La crisi strutturale della stampa tradizionale si sta rilevando sempre più marcata e mostra di non aver beneficiato particolarmente della accresciuta domanda di informazione dovuta alla crisi pandemica.

Giacomo Lasorella

Nel secondo trimestre 2020, il trend di riduzione nella lettura giornaliera dei quotidiani è comunque un fenomeno comune a tutti i Paesi europei: nell’Unione europea, infatti, si osserva un declino di 12 punti (dal 38% al 26%) nel periodo che va dal 2010 al 2018.
Questi dati risultano certamente significativi anche alla luce del forte calo dei ricavi della stampa quotidiana e rendono evidente la crisi specifica che attraversa il settore. Evidentissimo il crollo dei quotidiani sportivi che risultano i prodotti più danneggiati dalla sospensione degli eventi e delle manifestazioni sportive. I quotidiani hanno, inoltre, visto incrementare enormemente la fruizione digitale e sul web tanto da aver rappresentato un canale centrale di informazione nella cosiddetta dieta mediatica durante la pandemia per il 61% della popolazione.
Tuttavia, viene spesso privilegiata la fruizione online gratuita (quasi tutti i giornali online vedono crescere il traffico nel giorno medio) mentre le copie e gli abbonamenti digitali non compensano economicamente il calo delle copie cartacee.
Nella sua relazione, il presidente dell’Agcom, Giacomo Lasorella, afferma che «il Sistema Integrato delle Comunicazioni per l’anno 2019 ha evidenziato un valore pari a 18,1 miliardi di euro, l’1,01% del Pil, con una riduzione dell’1,4% rispetto al 2018, in controtendenza rispetto al trend di crescita che ha interessato, nel medesimo periodo, l’economia nazionale».
Tra le diverse aree economiche che compongono il Sic, quella dei servizi di media audiovisivi e radio conferma il primato, con un peso del 48%. Sebbene in diminuzione, il comparto editoriale, costituito da quotidiani, periodici e agenzie di stampa, mantiene la seconda posizione. Prosegue il trend di crescita dell’area dell’editoria elettronica e pubblicità online, che nel 2019 si avvicina al 20% del totale (+2% rispetto all’anno precedente). Seguono, con quote sensibilmente inferiori, il cosiddetto below the line (ossia, le iniziative di comunicazione e le sponsorizzazioni), il settore cinematografico e la pubblicità esterna.
Anche nel 2019 nessuno tra i principali soggetti ha realizzato ricavi superiori al tetto del 20%. In questo scenario la televisione si conferma il mezzo principale per l’acquisizione di informazioni, anche se è sempre più evidente lo spostamento, sempre più rapido, verso le piattaforme online.
I dati indicano, inoltre, una progressiva diminuzione nell’uso dei quotidiani e della radio per informarsi. I primi tre operatori, (Sky, Rai e Fininvest), canalizzano comunque più dell’80% delle risorse. La televisione si conferma il mezzo principale per l’acquisizione di informazioni, anche se è sempre più evidente lo spostamento, sempre più rapido, verso le piattaforme online.
Dunque, nonostante la crescita delle audience e del consumo di informazione, rilevato almeno per televisione e Internet, i risultati economici sono fortemente negativi per tutti i mezzi di comunicazione e le analisi mostrano una flessione degli introiti pubblicitari causata sia dalla minore disponibilità di spesa degli inserzionisti sia dall’abbassamento dei prezzi di vendita degli spazi pubblicitari, ad eccezione di quelli dell’online».
I ricavi per i media alla fine del 2020 scendono a 11 miliardi, con una perdita rispetto al 2019 di oltre 1 miliardo, corrispondente a una variazione negativa del 9,5%, in analogia con il generale quadro macroeconomico (con una variazione del Pil pari a -9%). I periodici sono il comparto editoriale che ha sofferto di più, con una riduzione della raccolta pubblicitaria pari al 36,6%, seconda solo a forme pubblicitarie come il transit o l’outdoor. (giornalistitalia.it)

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Un commento

  1. Alberto Cafarelli

    Che tristezza! Se penso agli anni ’70, ’80 (quando ero un giovanissimo cronista tra Milano, Pavia, Novara, che batteva le prime righe con la macchina da scrivere e le dettava a giornali di prestigio con la cornetta del telefono) e in buona parte gli anni ’90 e, perché no, gli inizi dei 2000, il passato ormai “remoto” lascia spazio a tanta nostalgia e amarezza. Il tempo, si sa muta, fa il suo corso. L’augurio? Che almeno si torni a raccontare la verità, ricordandosi che il valore di ogni giornalista si misura dalla semplice e altrettanto preziosa regola delle 5 W: What (Che cosa), Who (Chi), Were (Dove), When (Quando), Why (Perché).

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