ROMA – È morto Valentino Parlato, tra i fondatori del quotidiano il Manifesto, di cui è stato più volte direttore e presidente della cooperativa editrice. Aveva 86 anni. Giornalista professionista, era iscritto all’Ordine del Lazio dal 13 aprile 1968.
Comunista a vita, Valentino Parlato. Fin da giovanissimo fedele a una militanza politica che gli costò subito l’espulsione dalla Libia, dov’era nato il 7 febbraio 1931 nella Tripoli che il fascismo cantava allora come “bel suol d’amore”.
In Libia la sua famiglia, originaria di Favara (Agrigento), si era trasferita nell’ondata di colonizzazione dell’impero mussoliniano, e c’era rimasta. Quella espulsione catapultò Parlato a Roma, dove ben presto approdò a l’Unità per cominciare a coniugare comunismo e giornalismo come avrebbe fatto fino all’ultimo. Lui stesso raccontava così come l’allontanamento forzato dalla Libia cambiò il suo destino: “Sarei diventato un avvocato tripolino e quando Gheddafi mi avrebbe cacciato nel 1979 assieme a tutti gli altri mi sarei ritrovato a quasi 50 anni in Italia senza né arte né parte. Sarei finito a fare l’avvocaticchio per una compagnia di assicurazione ad Agrigento o a Catania. Un incubo. L’ho veramente scampata bella”.
A Roma, dal 1951, continua gli studi di legge intrapresi a Tripoli, e all’università conosce Luciana Castellina. Si iscrive al Pci e ne diviene funzionario. Nel 1953 viene inviato alla Federazione di Agrigento, ma l’apparato gli sta stretto e davanti alla prospettiva di restare in Sicilia aspettando una futura candidatura al Parlamento, decide di tornare a Roma. Di nuovo a “l’Unità”, e sempre nel Pci, vicino alle posizioni di Giorgio Amendola, fino a entrare nel Comitato centrale del Partito. Il giornalismo, in quegli anni, continua a praticarlo a “Rinascita”, chiamato da Giancarlo Pajetta a fare il redattore economico.
Il 27 novembre del 1969, la radiazione dal Pci. Viene cacciato assieme a Rossana Rossanda, Luigi Pintor, Aldo Natoli, Lucio Magri e Luciana Castellina, da un partito che non tollera voci critiche e castiga quei dirigenti per aver proposto una “rivoluzione culturale” e una “riforma generale del partito”.
Quella pattuglia di eretici aveva già fondato da pochi mesi quello che poi sarebbe diventato un giornale-partito, come diceva Parlato: “il manifesto”, quotidiano comunista che nella testata si richiama al “testo sacro” di Marx e Engels. Pietro Ingrao al Comitato centrale del 15 ottobre del 1969, prima della radiazione, aveva parlato di “posizioni sbagliate” dei “compagni del manifesto”, ma dopo questo ossequio alla liturgia del Pci aveva cercato di ragionare e far ragionare:
“A mio giudizio – aveva detto Ingrao – la divergenza con i compagni del manifesto non verte tanto sulla valutazione delle novità profonde della situazione che si presenta oggi al nostro partito, quando sui modi e sui contenuti con cui dobbiamo affrontarla”.
Quotidiano “il manifesto” lo diventa il 28 aprile del 1971. Parlato ne è direttore dal 19 settembre 1975 al 30 novembre 1985, ma non monarca. Perché in quella “direzione condivisa” è affiancato da Pintor, Ferraris, Foa, Castellina e Rossanda. Dirige ancora il quotidiano dal primo gennaio 1988 al 30 luglio del 1990 e poi dal primo ottobre 1995 al 30 marzo 1998.
Negli anni se ne allontana progressivamente fino ad abbandonarlo nel 2012, ultimo degli storici fondatori a lasciare la nave. Spiega l’addio senza perifrasi, né sentimentalismi, com’era nella sua cifra: “È un giornale decaduto, ha perso fisionomia. Doveva essere un giornale-partito ma quel ruolo si è dissolto. È un giornale come gli altri, per giunta in difficoltà economiche. Generico e povero. Ed è mancato un dibattito per rinnovarlo”. (agi)
La Fnsi: “Uomo e giornalista libero, insofferente ad ogni bavaglio”
ROMA – La Federazione nazionale della stampa italiana si associa al cordoglio dei familiari e della redazione de “il manifesto” per la scomparsa di Valentino Parlato, uomo e giornalista libero, insofferente ad ogni bavaglio, spirito critico capace di illuminare temi e soggetti sociali spesso trascurati, cancellati o confinati nella disperazione del silenzio subìto e non scelto.
Lo ricordiamo anche come appassionato combattente contro ogni bavaglio e per le sue battaglie a favore della riforma della editoria e per il pluralismo delle fonti dell’informazione, da lui considerato come uno dei pilastri della Costituzione e dell’ordinamento democratico. (giornalistitalia.it)