FIRENZE – E’ morto a Firenze, dove viveva, all’età di novant’anni, lo scrittore Saverio Strati. A darne notizia è stato Giuseppe Strangio, sindaco di Sant’Agata del Bianco, il centro del reggino dove l’intellettuale era nato il 16 agosto 1924. Secondo quanto riferito, la morte è avvenuta l’altro ieri, ma la notizia è stata diffusa soltanto ieri.
Saverio Strati nasce a Sant’Agata del Bianco il 16 agosto 1924 da una famiglia contadina. Interrotti gli studi dopo il conseguimento della licenza elementare, intraprende il mestiere di muratore, continuando però a coltivare la sua passione per lo studio e la lettura.
Si appassiona alle opere della cultura popolare, come “Quo vadis” di Henryk Sienkiewicz, i romanzi di Alexander Dumas, “I Miserabili” di Victor Hugo. Riprende gli studi alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Grazie all’aiuto finanziario di uno zio, che risiede negli Stati Uniti, inizia a prendere lezioni private da alcuni professori del Liceo Galluppi di Catanzaro. Si appassiona alla lettura di grandi autori come Croce, Tolstoj, Dostoevskij, Verga.
Nel 1949 consegue la licenza liceale classica e si iscrive all’Università di Messina prima (per assecondare la volontà dei genitori) alla facoltà di Medicina, poi a quella di Lettere. A Messina incontra il critico letterario Giacomo Debenedetti, che in quegli anni insegna nella città siciliana, e sottopone alla sua lettura il racconto “La Marchesina”. Debenedetti ne è impressionato favorevolmente al punto da proporlo ad Alberto Mondadori a Milano.
Negli stessi anni Strati scrive il suo primo romanzo “La Teda”. Nel 1953 si trasferisce a Firenze per preparare la tesi di laurea sulle riviste letterarie del primo ventennio del Novecento. Appaiono i suoi primi racconti sulle riviste “Il Ponte”, “Paragone” e sul quotidiano “Il Nuovo Corriere”.
Il secondo romanzo è “Tibi e Tascia”, poi, dopo avere sposato Hildegard Fleig, una ragazza svizzera conosciuta a Firenze, si trasferisce in Svizzera fino al 1964. Scrive i romanzi “Mani Vuote” e “Il Nodo” e molti racconti, ma considera come una svolta nella sua narrativa il romanzo “Noi Lazzaroni”, pubblicato nel 1972. Nel 1977, con “Il selvaggio di Santa Venere” vince il Premio Campiello.
Nel 2009 “Il Quotidiano della Calabria” si fece promotore della richiesta di far ottenere allo scrittore i benefici della Legge Bacchelli, che gli furono concessi dal governo il 17 dicembre 2009, alla luce degli speciali meriti artistici riconosciuti e della sua condizione di indigenza. (Agi)
L’ultimo grande scrittore calabrese della generazione del dopoguerra
REGGIO CALABRIA – Dopo la seconda guerra mondiale, Saverio Strati riprese gli studi che aveva interrotti e frequentò per alcuni anni la facoltà di Lettere dell’Università di Messina. Fu in quest’occasione che ebbe un fortunato incontro con Giacomo de Benedetti che lo incoraggiò a scrivere.
Così timidamente nacque la prima raccolta di racconti La Marchesina, nel ’56 per Mondadori, cui seguirono Tibi e Tascia, La teda e poi di seguito molti altri romanzi: Mani vuote, Noi lazzaroni, Il Selvaggio di Santa Venere, Il Diavolaro, I cari parenti, fino all’ultimo: Natale in Calabria del 2006. Nel ’53 si trasferì a Firenze e poi si spostò in Svizzera con la moglie fino al ’64. Ritornò di nuovo in Italia e si stabilì definitivamente a Scandicci, vicino Firenze. Veniva spesso nella sua terra natale cui lo legava l’affetto per i conoscenti e gli amici.
La sua Calabria non è una terra mitica, ma molto vicina al nostro tempo, inquieta ed ambigua con una grande varietà di forme di vita, problemi economici, sociali, esistenziali. L’antica civiltà contadina è quasi sempre oggetto di rimpianto. Il realismo, oltre ad essere una vocazione ed una necessità autentica dello scrittore, diviene elemento dinamico per rappresentare l’approdo a questo disincanto.
La sua narrazione si concentra soprattutto a definire i caratteri tipici della popolazione, ma c’è spazio pure per l’analisi delle individualità, la crescita disordinata e i complicati rapporti tra pubblico e privato. Il suo più grande rammarico è per la scomparsa di quei valori che hanno reso prima sacre la famiglia e la terra. La diaspora degli intellettuali, cui egli stesso appartenne, non va considerata come una fuga, ma per ricreare altrove il bene perduto.
Negli ultimi tempi Saverio Strati chiese l’applicazione della legge Bacchelli per un sussidio che gli fu concesso, date le sue ristrettezze economiche. Con lui scompare un intellettuale onesto, che è vissuto nel culto della giustizia e della solidarietà e che ha scritto per continuare la tradizione letteraria della Calabria.
Questa, ne sono certa, non mancherà di onorarlo e ricordarlo come uno dei grandi scrittori impegnati ed autentici del sud.
Gaetanina Sicari Ruffo