ROMA – Roberto Martinelli, il numero uno dei giornalisti giudiziari italiani, si é spento stamattina al Policlinico Gemelli di Roma, dove era ricoverato da un paio di settimane. Aveva 82 anni. È stato vicedirettore del Corriere della Sera e capo della redazione romana de La Stampa, nonché inviato del quotidiano “Il Giorno” e collaboratore de “L’Espresso”. È stato anche consigliere dell’Inpgi e presidente onorario del Premio per il giornalismo di inchiesta “Giustizia e verità – Franco Giustolisi”.
Nato l’11 marzo 1936, era giornalista professionista iscritto all’Ordine del Lazio dal 1 ottobre 1957. Per anni editorialista del quotidiano Il Messaggero, negli ultimi tempi Roberto Martinelli aveva anche tenuto numerosi corsi di giornalismo, collaborando con l’Ordine sul fronte dei problemi legati alle querele.
Roberto Martinelli era considerato il “re” dei cronisti giudiziari. Avvocato, vicedirettore del “Corriere della Sera” e capo dell’edizione romana del quotidiano “La Stampa”, Martinelli non solo era stato artefice di grandissimi scoop (mai nessuno ne ha fatti tanti e clamorosi come lui) ma con un lavoro certosino, negli ultimi tempi si era occupato delle cause contro i giornalisti: una vera e propria ampia “letteratura” di citazioni civili e querele presentate dai magistrati contro quotidiani e settimanali, con risultati da record.
Nel periodo esaminato da Martinelli (1997-2004), infatti, su 657 cause civili nei confronti della stampa, 133 arrivavano dai magistrati. “La professione del giornalista – diceva Martinelli – è cambiata. Un tempo eravamo noi a rubare le carte. Oggi il pm te le passa e decide lui che cosa devi pubblicare”. E riconoscendo le “colpe” dei giornalisti, puntava il dito contro “l’intimidazione che deriva da certe azioni giudiziarie strumentali”, perché “fa sì che quel che resta della libertà di stampa venga sepolto per sempre”.
Cronista di razza, inviato speciale su tutti i più importanti fatti di cronaca nera e giudiziaria, collega generoso e impareggiabile (noto alla categoria anche per i suoi scherzi diabolici) Martinelli definiva “malcostume” le “conferenze stampa tenute da magistrati, carabinieri e polizia che raccontano per filo e per segno l’andamento dell’inchiesta”. “Siamo alle ‘veline di Stato’”, diceva con l’aria di chi la sapeva lunga. Per lui il giornalismo era la strada (“molti direttori, una volta ogni tanto, dovrebbero tornare a fare il lavoro delle origini andando per strada a capire la realtà”) ed erano gli scoop, i tantissimi scoop fatti in carriera. Ma anche, più recentemente, una attenzione maniacale agli errori giudiziari condensata nella prefazione del libro “Cento volte ingiustizia. Innocenti in manette” scritto da Benedetto Lattanzi e Valentino Maimone, quest’ultimo creatore del sito errorigiudiziari.com. Strada, scoop ed anche inchieste. Lo testimonia “Il delitto Moro” (Rizzoli), libro scritto a quattro mani con Antonio Padellaro e uscito nel 1979, a un anno dal rapimento e dal successivo omicidio del segretario della Dc. Il volume racconta la controstoria del delitto Moro, una vicenda che ha sconvolto gli equilibri politici. Per due mesi Martinelli e Padellaro si sono sostituiti agli inquirenti ripercorrendo tutte le strade del delitto Moro e dando vita a un reportage che narra un paese sull’orlo della guerra civile.
I funerali si svolgeranno domani, sabato 29 dicembre, alle ore 11.30 a Roma nella Cappella del Don Orione in via della Camilluccia 112-120. (adnkronos)
Era considerato il numero uno dei cronisti italiani. Aveva 82 anni. Funerali a Roma