Amato leader dalla Sinistra, è stato direttore de l’Unità. I ricordi di Mattarella e Siddi

Addio Pietro Ingrao, giornalista e comunista vero

Pietro Ingrao

Pietro Ingrao

ROMA – È morto Pietro Ingrao, storico leader del Partito Comunista Italiano e tra i padri fondatori della nostra Repubblica. Quest’anno aveva compiuto 100 anni. Era nato, infatti, il 30 marzo 1915 a Lenola, oggi in provincia di Latina, ma all’epoca provincia di Terra di Lavoro in Campania, da una famiglia di proprietari terrieri originari di Grotte, piccolo centro in provincia di Agrigento in Sicilia. Ingrao era da tempo malato e aveva da anni non appariva in pubblico. È morto nella sua casa di Roma, in via Ugo Balzani, nel quartiere vicino piazza Bologna.
Iscritto al Pci nel 1940, attivo protagonista della Resistenza partigiana, è stato uno dei dirigenti più amati dal popolo comunista che in lui hanno sempre visto l’«ala sinistra» del partito. Giornalista professionista dal 16 dicembre 1945 (quasi 70 anni) era iscritto all’Ordine del Lazio. È stato direttore de l’Unità dal 1947 al 1957 e parlamentare alla Camera dei deputati ininterrottamente tra il 1950 e il 1992. Dell’assemblea di Montecitorio è stato anche il primo presidente comunista, dal 1976 al 1979.

Andrea Camilleri e Pietro Ingrao

Pietro Ingrao con Andrea Camilleri

Andrea Camilleri, in una lezione raccolta nel volume “Carte Pietro Ingrao” di Ediesse, lo definì “l’eroe dei dubbio” ricordando che a muovere Ingrao, voce critica del Pci, era “non solo la tutela della libertà d’opinione, ma ancor più la convinzione che il soggetto rivoluzionario era un farsi del molteplice: l’incontro fluttuante di una pluralità oppressa che costruiva e verificava nella lotta il suo volto. Un farsi del molteplice”.
“Mi appassionava la ricerca. E il dubbio – diceva Ingrao – mi scuoteva, vorrei dire: mi attraeva. Vedevo in esso un’apertura alla complessità della vita. Dubitare mi sembrava l’impulso primo a cercare: aprirsi al ‘molteplice’ del mondo…». E ancora: «Il dubbio per me non significava povertà: anzi apertura di orizzonti, audacia nel cercare. Sì, vivevo il piacere del dubbio. E avvertivo anche una ricchezza per quell’interrogarsi, cercando. Come se il mondo – nella sua problematicità – si dilatasse intorno a me». «Dubitare mi sembrava l’impulso primo a cercare”.
“Il dubbio – sostiene Camilleri – allora nasceva non dall’opportunità ma dalla necessità di accogliere o meno le inevitabili modificazioni che quelle basilari opinioni via via subivano nel convulso procedere della Storia, senza che però ne intaccassero la verità di fondo. È stato il secolo che ha avuto, rispetto a quelli che l’hanno preceduto, una massa, proprio nel senso che vien dato in fisica a questo termine, di gran lunga superiore.
La qualità del dubbio di Ingrao perciò non attiene alla sfera del sistematicismo o se volete dello scetticismo, ma assume il carattere di un procedimento metodico di volta in volta tendente a un fine, a uno scopo: e cioè la verifica del fondamento di una ulteriore certezza.

Pietro Ingrao

Pietro Ingrao a Rosarno l’11 giugno 1980 durante un comizio per commemorare la morte del militante Pci Giuseppe Valarioti ucciso dalla ’ndrangheta 10 anni prima

Ingrao non dubita di tutto ciò che è dubitabile, forse questa posizione è più di un filosofo che di un politico, Ingrao limita il suo dubbio a quando scopre che su un dato argomento, su una precisa posizione, si può dubitare della possibilità del dubbio. È un dubitare a posteriori. Una postulazione di verifica. Ma pur entro questi limiti, l’esercizio del dubbio produce in lui, come egli stesso ha affermato, una sorta di dilatazione del mondo. Il dubbio quindi come mezzo di conoscenza, cioè un dubbio di marca cartesiana per il quale ogni dubbio doveva risolversi nella scoperta di un nuovo territorio su cui avventurarsi. E su questi nuovi territori di conoscenza Ingrao si è sempre inoltrato non per il gusto dell’avventura intellettuale in sé, ma quasi per assolvere un dovere politico e umano (…).
Mi sbaglierò, ma io sono convinto – conclude Camilleri – che del suo impegno politico egli sia rimasto maggiormente legato al periodo 1944-1945, quando, in una grigia Milano con il piede straniero sopra il cuore, lavorava all’edizione clandestina de «l’Unità», quando il vivere e l’agire quotidiani erano un azzardo, quando la possibilità dello scacco era dietro ogni angolo, quando si era uomini e no”.
Profondo cordoglio è stato espresso dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ricordando che “Ingrao è stato un leader importante nella nostra storia repubblicana. È stato presidente della Camera in un passaggio travagliato e difficile della vita del Paese. Non ha avuto paura di esplorare terreni nuovi, nè di esprimere dissenso anche quando questo lo ha esposto a sacrifici sul piano personale. Nel difendere il proprio punto di vista ha, tuttavia, sempre cercato di assumere una visione nazionale e di tenere vivo il confronto con gli altri. La sua passione resterà un patrimonio del Paese e la sua libertà interiore è un esempio per le giovani generazioni”.

Sergio Mattarella

Sergio Mattarella

Franco Siddi

Franco Siddi

“Suscita profonda commozione – dichiara dal canto suo Franco Siddi, consigliere d’amministrazione della Rai ed ex segretario generale della Fnsi – la notizia della morte di Pietro Ingrao. Mi piace ricordare con commozione l’affetto, l’attenzione al ruolo e alle funzioni dei giornalisti, categoria della quale si sentì militante quasi quanto la stessa politica dei tempi in cui distribuiva l’Unità in bicicletta prima di dirigerla per 10 anni dal 1947”.
“Schietto e rigorosissimo nelle sue posizioni politiche e ideologiche – ricorda Siddi – Ingrao ha voluto testimoniare anche alla nostra categoria nel centenario della Fnsi, del cui comitato d’onore è stato membro, in maniera viva e concreta il significato e il valore della legittimazione e del rispetto del pluralismo delle voci. Una condizione questa che deve essere sempre vissuta dal mondo dell’informazione con dignità perchè non venga meno la ricchezza del confronto democratico sia all’interno della società che nelle istituzioni. Quella sua testimonianza – conclude Franco Siddi – rimane per noi giornalisti una lezione importante come lo fu il suo contributo diretto all’associazionismo dei giornalisti e la sua presenza negli organismi dell’Inpgi subito dopo la guerra”.
Sposato con Laura Lombardo Radice (1913-2003), aveva cinque figli: Chiara, Renata, Bruna, Celeste e Guido. La camera ardente sarà allestita nella Sala Aldo Moro di Montecitorio domani, 28 settembre, dalle ore 15 alle ore 20 e martedì 29 settembre dalle ore 10 alle ore 20.

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